Poesie veneziane di Giorgio Baffo, Carlo Goldoni e Gasparo Gozzi sulla commedia il Filosofo inglese/A Giacomo Piamonte

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
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A GIACOMO PIAMONTE




Nella lieta occasione delle tue nozze colla signora Paolina Gei permetti alla mia antica amicizia di offrirti queste poesie inedite, le quali, se interrompono la serie delle pubblicazioni storiche di occasione, concernono non di meno un argomento non privo d'interesse, e ricordano tre bei nomi di Veneziani.

Da un manoscritto della libreria Correr che s'intitola «Composizioni uscite sui teatri, commedie e poeti, nell'anno 1754 in Venezia» la gentilezza dell'illustre amico mio, cavaliere e dottore Vincenzo Lazari, direttore di quella patria Raccolta, mi permise di trar copia delle tre poesie che ora vedon la luce, e delle quali egli amò di curare la stampa, nella mira di conformarne la ortografia alla pronunzia del nostro dialetto. Altre poesie di minor conto, e sullo stesso argomento, contengonsi nel manoscritto; m'attenni però alla pubblicazione di queste, ch'esprimono il giudizio di due illustri contemporanei sulla commedia «il Filosofo inglese» di Carlo Goldoni.

Questo insigne nostro poeta in altre congiunture sostenne lotte ben più acerbe, e con uguale fortuna le superò; ma questa, che pertrattano le poesie che t'offro, è una palestra corsa da ingegni [p. 6 modifica]gentili. Agli appunti di Giorgio Baffo, con brio e facilità maravigliosa, risponde il Goldoni, terminando ogni verso colle stesse parole del proprio censore; e Gasparo Gozzi si aggiunge a difenderlo col disinteresse dell'uomo leale e coll'acutezza tutta sua in una poesia ch'è interessante anche per ciò che dimostra, con rarissimo esempio, quanto valesse nel trattare il dialetto quello splendido e fecondo ingegno italiano.

Nel Capitolo XXI della Parte II delle Memorie proprie scritte da lui medesimo, Carlo Goldoni dice così dell'argomento e dell'esito della commedia «il Filosofo inglese:»

«Il teatro rappresenta una piazzetta della città di Londra con due botteghe, l'una delle quali da caffè e l'altra da libri.

Aveva allora spaccio in Italia la traduzione dello Spettatore Inglese, foglio periodico che vedevasi fra le mani di tutti.

Le donne, che in quel tempo a Venezia non leggevano molto, presero gusto per questa lettura e cominciarono a divenire filosofesse. Io ero incantato nel vedere le mie compatriotte ammettere l'istruzione e la critica alla loro toeletta, e composi la commedia di cui do il compendio. [p. 7 modifica]


Chi apre la scena sono due giovani, l'uno caffettiere e l'altro birraio i quali, parlando dei fogli periodici che compariscano a Londra ogni giorno, e facendo cadere il discorso sugli originali che frequentano le loro botteghe, danno un'idea al pubblico del fondo della commedia e del carattere dei personaggi.

Jacobbe Monduil è un filosofo che gode la più alta riputazione. Madama di Brindè, dotta signora e vedova d'un inglese ricco di milioni, conosce il merito di Monduil, lo stima in pubblico, l'ama in secreto. Milord Wambert, amante di madama di Brindè, vorrebbe sposarla, e confida la sua passione ed il suo progetto a Jacobbe Monduil, che da vero uomo gli fa conoscere che una donna dotta non è quel che basta per uomo giovine che ha girato il mondo, e che non è attaccato alla letteratura. Il lord lo crede, e rinunzia al suo progetto; ma i maligni, che si accorgono dell'inclinazione della vedova, e pensano che il filosofo non ricuserà di cambiare stato, dicono pubblicamente che quello è un matrimonio già stabilito. Milord Wambert ascolta i discorsi del pubblico, e si crede ingannato. Cerca Monduil, e minaccialo. Quest'uomo intrepido parla [p. 8 modifica]e ragiona, giunge a far arrossire il giovine minaccioso, ed il lord gli rende la sua stima e la sua amicizia.

Vi sono in questa commedia due personaggi comici, l'uno dei quali vantasi di avere scoperta la causa del flusso e del riflusso del mare, e l'altro di aver trovata la quadratura del circolo. I loro discorsi, il loro contegno e le loro critiche, spargono molta gioja nella commedia, la quale ebbe un incontro fortunatissimo.»

Nel tratteggiare que' due personaggi, Carlo Goldoni non intese coprire di ridicolo una setta, come pretesero i censori di lui, ma colpire la ipocrisia e la essenza del vizio, si ammanti esso delle apparenze della scienza e delta schiettezza, o vesta invece le spoglie della pietà e del fanatismo. Il poeta raggiunse, scherzando, lo scopo di flagellare sotto ai panni mendaci lo smodato e ingiusto culto di sè stessi, perchè officio principale del teatro è l'onorare la virtù e riprendere il vizio. Così almeno pensavano i nostri vecchi.


Venezia, addì 6 ottobre 1861

FEDERICO BERCHET