Lettera al Gran Bastaso

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.

 Edission original:   

Pietro BurattiPoesie e satire di Pietro Buratti veneziano, corredato di note preliminari ed annotazioni scritte dallo stesso autore, Amsterdam, J. Loocke, e figlio, 1823

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NOTA PRELIMINARE


Alla Bastaseide


Protesta l'autore, che non da fiele satirico, ma da semplice buon umore fu indotto a scrivere la seguente composizione al suo dolce amico Girolamo Canestari di Verona, caro alle muse, di maniere simpatiche e gradito a tutti per una certa giovialità che lo distingue. L'autore passeggiando un giorno pacificamente la gran Piazza di S. Marco, venne all'improviso disarmato del suo Bambuch dal pazzo Veronese, che gli disse, o dammi il bastone, e ti prometto un ode sulla riconoscenza, o lo esiggi indietro, e ti lancio adosso una satira Menziniana da levarti la prima pelle. Così scherzando si prosseguì per più d'un ora quando (avvedutosi il Canestrari che la burla non piaceva all'autore sul dubbio di rimaner privo del suo bambuch) per metterlo doppiamente in inquietudine giurò all'orecchio d'un terzo fattosi innanzi allo strepito della questione, che ne avrebbe fatto un solenne sacrificio all'onde sul molo vicino della piazzetta, piuttostoche restituirlo al proprietario. Difatti in compagnia degli individui più celebri della Corte Busonica, si mosse al luogo destinato. Ma nel procinto di eseguire la minaccia tocco il Canestrari di compassione rese il bambuch nelle mani dell'autore. Il ricupero inaspettato fu sprone a questo di non lasciarsi vincere in generosità dall'amico, e caldo sul momento di nobile emulazione ne fece un dono a Canestrari. L'entusiasmo del Veronese non ebbe più freno, si mise ginocchione per terra in mezzo al popolo circostante, e gridò forte viva il poeta! Viva il Piavolotto! Ode sulla riconoscenza! L'autore fu costretto di partirsene per Bologna dove lo chiamavano alcuni affari importanti con la famiglia indicati sul principio della composizione. Durante il suo soggiorno colà prolungato a più di due mesi l'autore attese indarno l'Ode [p. 174 modifica]promessa, e seppe che il Canestrari contento d'averne scarabocchiate alcune stroffe, andava leggendole al terzo al quarto come uno sforzo il più sublime dell'arte. Nel frattempo il veronese decorato in corte dal Duca del titolo di Gran Bastaso fe ritorno alla sua patria, deludendo l'espettazione dell'autore che reduce a Venezia gli scrisse per dargli a conoscere il suo giusto rissentimento. Con questa indicazione preliminare potrà il lettore mettersi al fatto dell'argomento, ma come ciò non basta per l'intelligenza del resto, così vien rimesso alle note parziali cui avrà la pazienza di tener dietro.


Lettera al gran Bastaso.


Dopo aver più d'un mese, 1
     Co so Pare, e coj Fradei
     Calcolà prodoti e spese
     Del negozio de penei,
Dopo averghe fato el quadro
     De quel bravo soventor 2
     Che a l'epiteto de ladro 3
     S'à sentio una bota al cuor,
Dopo aver col pentimento
     (Sempre belo in zoventù) 4
     Dà solene zuramento
     D'esser bon de non far più,
Tornà in corte el Piavoloto 5
     Manda in pressa un per de basi
     A quel bravo culo roto
     Scielto capo dei Bastasi 6

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Che onor tropo el ghe faria
     De chiamarlo fio de Apolo
     Dopo averghe portà via
     Un bambuch sora el molo. 7
Massa bona che in quel zorno,
     Sior Lasagna Veronese,
     Testimonii gera intorno
     I più ludri del Paese,
Che a la gloria de quel'ato
     Novo in corte e peregrin
     À dà un zigo mezzo mato
     Fin sior Marco Presentin. 8
Che no ghè bisogno un cazzo
     Del mio nome per sostegno
     Che un poeta visdecazzo
     Meta in opera l'inzegno,
Ma qualunque sia de fondo
     Vù dovevi sul momento
     A mì prima, e dopo al mondo
     El poetico escremento,
Vogio dir in rima bafica
     Quela spezie de monada
     Che col nome d'Ode Safica
     Gera mal preconizada,
Che nel tempo che de bando
     Ve menevi quà l'oselo
     I cogioni incantonando
     Ghe lezevi a questo e a quelo
Pretendendo che dovesse
     Far gran colpo l'impostura
     De do strofe lesse lesse
     Butae zò senza natura.

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No credessi che per questo,
     El mio caro Canestrari
     Mi volesse, roto el cesto,
     Darve un posto fra i somari.
Son Poeta, e tanto basta 9
     Vù de Crusca, mì de mona,
     Semo tuti de una pasta
     D'una razza buzzerona,
Ma se mì son ben disposto
     A favor de chi à mancà
     Per l'infamia de sto rosto
     Ziga el turio la Cità.
E gh'è in corte un tal fermento
     Che dì e note caregoni
     Per cazzarvelo ben drento
     Col Gran Duca fà i Busoni. 10
Del processo i materiali
     I xè tanti ch'el gran duca
     Per colpir nei più essenziali
     Perderia presto la zuca,
Se compagno de taolin
     No ghe dasse un fià de man
     Secretario e facendin
     Quel so Codega furlan. 11
Lo savè che maldicenza
     Regna, amigo, in sta laguna!
     Ghe xè quà la quinta essenza
     Guai se cambia la fortuna!
Da tre bande se ve ataca,
     Scrive el Codega dei tomi
     E col nome de Panaca 12
     Se me buta a tera Momi 13

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Se ve nega in primo logo
     De poeta la corona,
     E se dise che quel fogo
     L'è da piazza o sia da mona.
Se vol priva d'invenzion
     L'ode per la Corallì 14
     Se vol fiaca la canzon
     De la Nana sul pipì 15
El lamento de la Piavola 16
     Se ricorda con piacer
     Perchè i sà, ne la xè favola
     Che una man và da el spezier.
Ma quel Salmo per Marieta 17
     E dai doti, e dai non doti
     Per cagnera maledeta
     Se batizza a pieni voti.
Se riflete, e se ve acusa
     D'aver quà prostituio
     I favori de la musa
     Per un capo descusio, 18
Bestia a segno d'esaltar
     Tete e fianchi de una dona
     Che vol vecchia civetar
     Che pol esser vostra nona.
Primo ponto che ve scarta
     Dei poeti da la riga;
     Quà el gran Duca volta carta
     E vien dopo amori e figa.
Con quel cazzo formidabile
     Che natura in don v'à dà
     No se conta un capo amabile
     Veramente conquistà,

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No se conta una passion
     Che sia degna da cartelo,
     Ma dei tiri da cogion
     Dei sempiezzi da putelo.
Se pretende amor senz'ale 19
     Quel amor da bon merloto
     Che del carro ne la cale
     Ve teniva sempre in moto.
Che a solievo d'un spezier
     Destinà dal caro Boca 20
     Ve cambiava in infermier
     In polsista, in dotor coca,
Che v'à fato bater sodo 21
     Per dei mesi e sisparmiar
     Piantà là come da un chiodo
     Pene, carta, e calamar,
Che v'à indoto note e zorno
     Con quel ton da mezzo vasco 22
     A condur servente intorno
     La tirana del gran fiasco.
E che tal infati el sia
     Prova xè che dal tesoro
     In sti zorni sé andà via
     Co una bela piova d'oro. 23
Don gentil del padre Giove
     Perchè el regno de le bele
     Sapia tuto con che prove
     Momi incanta le putele.
Quà comincia el terzo ponto
     De matura alquanto critico:
     Son prudente e tegno sconto
     El paragrafo polìtico. 24

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Per butarve in t'un canton
     Per valer manco d'un cavalo
     Basta dir che la rason
     Xè decisa per el piavolo. 25
Donca tuti co un eviva
     Xè d'acordo persuasi
     Che ve seta in carne viva
     L'esser capo dei Bastasi. 26
Che figura più putana
     Che più bravo comandante
     No abia avudo la Dogana
     In Paese negoziante.
General xè l'opinion
     Che più forti al paragon
     Fusse Tita Sgamberlon 27
     L'Anaroto el Mandolon.
Tre colossi Pagi in Corte
     Che brogiava a tuto andar
     Per poder dal Duca in sorte
     La gran carica Scrocar.
Ma el gran Duca, inzegno grando
     Bada ai meriti reali,
     E condana a star de bando
     I tre Pagi materiali:
El gran Duca no xè un coca
     E gà piasso, e gà ferio
     El sentier che gavè in boca
     Sempre un bel corpo de Dio.
Che in burasca in teremoto
     Ve slanzè de quà de là,
     De Messina che amè el goto 28
     Che se un ludro pien de fià,

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Venì donca sior Bastaso,
     Ne fe l'aseno, ve prego,
     E mostrè che gà bon naso
     Chi v'à dà sto bel impiego.
Da che libero xè el mar
     No s'à visto tante ceste
     In dogana capitar
     E de zizole, e de creste 29
De lasagne e larghe e strete
     Gh'è una fraca buzerona,
     Ghe xè Coli, gh'è Cessete
     Venì presto da Verona.
Senza capo i vostri puti
     Perdè zà la tramontana,
     I fachini ziga tuti
     Quando vienlo sto putana?
Toca a vù mostrar el muso
     Come bulo, e diretor
     Toca a vù meter in uso
     Corpo e sangue del Signor.
Toca a vù de palesar
     Che podè co sto talento
     I tre fiaschi riparar
     Che xè publico argomento.

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ANNOTAZIONI
  1. [p. 183]La famiglia dell'autore aveva in Bologna un Negozio al minuto di colori, e una fabbrica distinta di pennelli.
  2. [p. 183]Il poeta fu vittima di un Perucchiere sovventore che si fece ricco alle sue spalle.
  3. [p. 183]Il sovventore suddetto, già beneficato in addietro dalla famiglia ricevette nella circostanza una lettera di buon inchiostro dovuta ai suoi meriti.
  4. [p. 183]E da notarsi per altro che il poeta non era allora di primo pello.
  5. [p. 183]Titolo dato in Corte all'autore dal Gran Duca Niccoletto Soardi.
  6. [p. 183]Carica impartita allora di fresco dal Duca al Canestrari.
  7. [p. 183]La storia del Bambuch è già messa nel maggior suo lume dalla nota che precede la composizione.
  8. [p. 183]Marco Marosini ebreo fatto Cristiano, uomo volgarissimo, e Capo dei Presentini in Corte.
  9. [p. 183]Canestrari scrittore in lingua purissima.
  10. [p. 183]Al ritorno dell'autore da Bologna trovò che il Duca s'occupava moltissimo a fare il processo di Canestrari, accusandolo come cattivo poeta, come infelice nelle sue imprese galanti, e come poco avveduto ne suoi vaticinj politici.
  11. [p. 183]Il Duca non crede sconveniente al suo decoro di tener per servo un facchinaccio Codega ossia porta fanale, uomo di talenti universali, e che sà tener la penna in mano per sollevarlo dal peso delle cure governative.
  12. [p. 183]Panaca sinonimo di coglione.
  13. [p. 183]Momi ossia Girolamo così chiamato per gentilezza da una vecchia galante cui faceva la corte.
  14. [p. 183]Qui comincia l'enumerazione delle poetiche sue composizioni. Un'ode per la copia Coralì che ballava nel Teatro della Fenice.
  15. [p. 183]Canzoncina composta per un Canerino ch'era [p. 184]la delizia di una certa Annetta Carrara chiamata la Piavola.
  16. [p. 184]Quando l'autore partì per Bologna Canestrari dipinse in un latino evangelico la disperazione della Piavola per la lontananza del suo Piavolotto. L'incontro fu universale, ma si rilevò poi che il merito era diviso col poeta Ancillo speziale.
  17. [p. 184]La Marietta Marcolini virtuosa di canto ingiustamente flagellata dal Canestrari e senza lo spirito che d'ordinario lo distingue.
  18. [p. 184]Prostituì il Canestrari la sua cetra encomiando le bellezze fradicie di una vecchia sfabbricata, ma non senza pretesa in galanteria.
  19. [p. 184]Il buon Veronese impazzì per molti mesi dietro la Piavola che abitava nella così detta Calle del Carro in Fezzeria, e si pretende senza buon effetto.
  20. [p. 184]La Piavola amica di Giuseppe Trevisan conosciuto nella Corte Busonica col nome di Bocca di Botiro era allora ammalata gravemente, e ne suoi eccessi convulsionari assistita dallo speziale Ancillo suo amante secreto. Il Canestrari figlio d'un medico, e già iniziato nei misterj di Esculapio copriva di questo manto le assidue sue cure giornaliere.
  21. [p. 184]A qualunque ora si andava dalla Piavola trovavasi il Canestrari occupato a scrivere.
  22. [p. 184]Ton da mezo vasco ossia da bravaccio.
  23. [p. 184]Il Canestrari partì da Padova dove erasi trasferito per oggetti di salute, annunciando per lettera all'amico Trevisan a Venezia che Giove l'aveva regalato di una pioggia d'oro, ossia gonorea.
  24. [p. 184]Qui l'autore tocca di volo un'argomento troppo delicato per non compromettere l'amico.
  25. [p. 184]Titolo dell'autore in Corte, e sempre in bocca del Canestrari per metterlo al di sotto, ed avvilirlo.
  26. [p. 184]Capo dei Bastasi, ossia dei facchini che servono al trasporto delle merci nella Dogana di mare. Il Duca sempre felice nella scelta delle cariche nominò Canestrari a capo dei Bastasi in preferenza dei tre Paggi di Corte distinti col nome di Sgamberlon di [p. 185]Anaroto e di Mandolon forti di membra e colossali di persona che aspiravano da gran tempo a un tanto onore. Ma per colpir nel vivo il Veronese, credette il Duca di preferirlo agli altri mosso dalle qualità che già vengono accennate nel corso della composizione.
  27. [p. 185]Centenari, Paolo Padovani, Viviani.
  28. [p. 185]Il vino di Messina era sempre il preferito dal Veronese.
  29. [p. 185]Mercanzie appartenenti alla Corte Busonica.
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