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anzi vi è ripetuto con insistenza, come se i cantori popolari sentissero il bisogno di invocare di continuo un oggetto di secolare imprecazione». E continua:

«Ora, chi è colei che con la sola generica appellazione di — lombarda — poteva essere conosciuta e maledetta da l'un capo e l'altro dell'Italia superiore? — Qual'è la donna, che nella stessa Lombardia (gran parte del Piemonte ebbe pure la denominazione di Lombardia fin oltre il Sec. XIV) ha potuto chiamarsi la — Lombarda — senza che nascesse dubbio sulla persona indicata con questo nome? Non altre, mi pare, che Rosmunda, la longobarda per eccellenza, anzi la stessa regina dei Longobardi — odiata da questi perchè ucciditrice del loro re, abborrita dagli italiani, perchè appartenente alla razza degli oppressori stranieri, esecrata da tutti perchè due volte adultera e due volte omicida — ».

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Per precisare meglio la vetustà rara di questo monumento popolare, bisognerà risalire all'epoca d'origine. Il documento più autorevole che ci rimanga intorno alla morte di Rosmunda (573 d. C.) è la cronaca di Paolo Diacono (vedi pag. 71).

Se si confronta il paradigma della canzone, formulato sulle varie lezioni di pura origine popolare (raccolte in molte parti d'Italia) con detto documento, risulterà evidente l'identità sostanziale del fatto narrato nella canzone e nella cronaca. E, premesso che, o la canzone è nata dalla cronaca o che Paolo Diacono, nel descrivere la morte di Rosmunda, abbia subito l'impressione di un canto tradizionale non dissimile dal nostro — il Nigra, commentando scrive: «Si deve ammettere che la redazione originaria della canzone stessa risale al

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