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Perchè si badi, l’alunno di tutte le scuole può avere nel Libro non soltanto materie svariate, ma particolarmente fatti riguardanti gli usi e costumi della regione o provincia ove il testo ha da essere adottato. Dalla piccola famiglia o patria piccola lo scolaro apprende ad amare la famiglia o patria grande; dal ristretto cerchio delle pareti domestiche volge l'occhio e la mente ai confini del territorio ch’egli più conosce e quindi ai confini della intera Nazione. Direbbe Dante, nel metodo anche qui essenziale, «dal centro al cerchio», dal nodo alla periferìa, per giri concentrici salendo dal meno al più.

In siffatta guisa il Libro è istruttivo ed a un tempo educativo, nelle Letture, varie sì, ma tutte dirette a una méta sicura. Perchè noi vogliamo che i fanciulli si facciano uomini tali che la mente e il cuore e la coscienza operino in loro ad un fine unico; tantochè questo fine diventi un senso equilibrato e sereno della vita, che porti al rispetto verso i parenti ed i superiori, che sproni all’amore al lavoro, alla tenerezza verso i deboli, all’entusiasmo per ogni civile virtù, alla ripugnanza del parlar disonesto, alla venerazione ai morti, all’affetto perenne della famiglia, infine alla ferma coscienza che l’integrità della vita rimane un bene assoluto così per sè come per gli altri, vogliam dire in genere per tutta la umana società.

Tale ha da essere la Scuola: tali i libri che alla scuola si dánno; e siano unite sempre istruzione-educazione. Di libri educativi, sani e lieti non c’è troppa abbondanza in Italia.

«Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci» lasciò detto il poeta latino Orazio, ed il Voltaire riaffermò che il dilettevole è più utile dell’utile, parafrasando una sentenza che fu proclamata dai più antichi educatori pedagogisti ai più moderni, anzi ai più esperti Maestri della scuola.

E sia sempre norma, anche nello studio della lingua, la legge pedagogica «partire dal noto all’ignoto».

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Veniamo ora alla diretta applicazione del metodo suggerito dai recenti programmi ministeriali per lo studio dei dialetti italici. È una traccia non uno svolgimento, volendo lasciare al docente libera iniziativa. Ecco l’esempio.

Il Maestro fa scrivere sulla lavagna, poi sul quaderno dell’alunno, o l’una o l’altra — da lui opportunamente scelta — poesia o prosa dialettale; la legge o la fa leggere, secondo la migliore pronunzia; la fa dire quindi allo scolaro in lingua buona italiana; spiega il costrutto e le parole, e queste fa notare volta per volta in modo d’avere quasi ogni giorno la certezza che l'alunno ha imparato (parallelamente al dialetto e alla lingua) una parola o un frase nuova tanto da formarsene un dizionarietto ch’egli studia poi a casa o con i compagni1.

  1. Di tale piccolo vocabolario auguriamo sia guida ed esempio quello che sta in fine al presente volume.
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