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me ad un caffè, surta nel secolo XVIII. Ivi non si beveva, nè si mangiava, come lo indica la storia favolosa di quell'animale. Se qualche forestiere ingannato lo prendeva per un caffè omnibus, ed ordinava, veniva servito dai caffè vicini, e nel dispensarlo dal pagare imparava a non ricadere in errore. Un Inglese scrisse perciò un Articolo nell'Edimburgh Reviw, intitolato l'Urbanità dei Vicentini. Durò un secolo.

Canopo. Nome degli operaj che lavoravano nelle miniere di Torrebelvicino fino dal secolo XVI., oggi chiuse.

Cantile. Così chiamasi il rampollo del castagno quando è giunto all'età di dodici anni.

Capa. Bica di frumento in paglia, che si forma sul campo appena tagliato, e si compone di manipoli che si dicono faggie. Tredici di esse fanno una capa, e diciasette una crosetta.

Careze. Erbe carici.

Cargaro una montagna, dicesi dai pastori il coprirla delle loro mandre, e pascolarla. L'abuso che fanno di questa espressione per dare importanza al loro gregge non parmi aver altro modo corrispondente in valore nel dialetto Veneto, se non quello dei Veneziani che dicevano il Doge calare in S. Marco quando da' suoi appartamenti si portava in quella chiesa. Il verbo discendere non avrebbe espresso la dignità di quel personaggio; come il verbo coprire non è sufficiente fra i pastori a far comprendere la pingue e molta loro famiglia dei pascolanti la montagna, se non la magnificano con questa voce cargare.

Casso. Una delle divisioni del fienile; onde chi vende il fieno all'ingrosso lo vende a cassi.

Castron. Dicesi ad un margine di ferita molto evidente. Forse non è metafora di castron, che i Veneziani usano per rimendatura mal fatta, ma ci ricorda che l'arte di cucire le ferite dicesi Gastrorafia.

Cavaletta. Locusta. Non posso tacere una ipotesi sull'antichità di questa voce. Gio. Maria Lupi nel suo Epithaphium Severae martyris (Panormi 1734) ci riferisce un tegolo cristiano, su cui sta scritto Locustus, e sotto l'imagine di un cavallo, la quale è probabilmente il nome figurato del defunto. È cosa usitatissima dagli antichi porre scolpite sui sepolcri le idee di cose che rispondano al nome del sepolto. Si direbbe che le armi parlanti dei moderni traggono origine di là.

Cavalire. Modo del volgo nostro di pronunciare Cavaliere, ossia Filugello. Da questa pronunzia ne nasce un gioco di parole, sciocco in apparenza, ma di profondo senso a chi lo considera nell'interesse del poveretto che lo pronunzia: Se i va ben, i ze cava-lire; se i va mal, i ze cava-cori. — Altra espressione: Inverno dei cavaliri è quella burrasca che per solito precede l'estate in Maggio o. Giugno.

Cavezagna. Riporto questa importantissima voce agricola, registrata da tutti i Dizionarj da me veduti, e tradotta da tutti diversamente e definita. A me pare che debba spiegarsi cornice o margine che circonda i campi, e li divide or dal fosso, or da un altro appezzamento di terra, e serve loro di strada o scolo; per cui dico che la voce ciglione della Crusca, aquajo del Milanese, proda del volgo Fiorentino, latora del Davanzati, sono tutti nomi improprj, perchè incompleti; e che se le deve solo quello di cavezagna, perchè cavo significa che essa è in capo ai campi, e serve loro di passaggio; ed agna è voce antichissima che appartiene alle aque, e spiega il secondo ufficio della cavezagna.

Cavrara. Specie d'uva che nel 1709 non morì pel freddo con le altre, per cui dicesi che da quell'anno venne la costumanza, oggidì perdutasi, di obbligare il fittajuolo ad allevare un terzo della campagna ad uva cavrara.

Cesura. Piccolo poderetto che si apparta fra i grandi.

Che. Vale nemmeno. No ghe gera anema che piccola; cioè non vi era nessuno.

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