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Quattro mesi prima, in un altro teatro, si era recitata, per una sera sola, freddamente accolta, L’Ipocrisia, commedia di un altro scrittore esordiente: Giacinto Gallina. Era poco più che diciottenne 1; timido e rude, fuggiva i garbati ritrovi; doveva a malincuore sonare il violoncello nelle orchestre dei teatri e dar lezioni di pianoforte; nelle ore libere, chiuso nella sua stanza, abbozzava novelle e drammi o declamava a perdifiato qualche lettera del Jacopo Ortis, qualche capitolo del Guerrazzi. Il suo sogno d’arte sarebbe stato allora il lirismo scenico, la passione, la tesi moraleggiante, il dialogo a immagini e metafore, condito di qualche pizzico di sale ciconiano. Paragonata a quel sogno, che povera cosa non doveva parergli la semplicità vernacola de La bozeta de l’ogio?... «Mi ero ben guardato dall’assistere a quelle scene popolari, scritte come parla la gente del volgo, senza intendimenti filosofici, senza slanci lirici, senza vaporosità azzurre». Ecco il primo giudizio che Giacinto Gallina diede di Riccardo Selvatico, al quale più tardi doveva legarlo un’amicizia durata fino all'ora della morte.

Senonchè, non erano trascorsi otto mesi dalla prima recita de La bozeta, che già il Gallina, mortificato per la caduta dell’Ambizione di un operaio e

  1. Giacinto Gallina era nato a Venezia il 3 luglio 1852.
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