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fame e la morte; è stata nuovamente e duramente compressa; ha imparato a meditare tra le angustie il problema della vita anzichè, come gli avi, ad obliarlo tra le feste; oggi essa sente agitarsi in sè e attorno a sè altri bisogni, altri propositi, altre speranze, altre tristezze... e allora anche l’antica, sorridente limpidità della scena vernacola viene velandosi di nuove ombre di pensiero e palpitando per nuovi moti d’affetto.

Ma accade assai di raro che uno stato morale e sociale si rifletta nella letteratura, senza il concorso di qualche forma o atteggiamento d’arte che abbia con quello stato un’analogia visibile o recondita. Questa forma d’arte fu, nel caso nostro, il teatro piemontese.

Una sottile analisi mostrerà dove e come la sua azione si sia particolarmente esercitata; ma io crederei di poter affermare fin d’ora che si esercitò sopra tutto con la vena del sentimento, con una concezione più grave dei doveri della vita, con la rappresentazione tra comica e patetica de’ nuovi tipi della piccola borghesia. Ecco i tre elementi che contribuirono anch'essi, in misura maggiore o minore, a modificare le forme e gli spiriti dell’arte goldoniana.

E questo scambio d’influssi fra due grandi e diverse famiglie italiane parve quasi personificarsi nella figura di Marianna Torta-Morolin — la moglie di Angelo — la quale, da prima attrice della Compagnia piemontese del Toselli, diventava coll’anno comico 1868-69 l’anima della nuova Compagnia veneziana.

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