malinconica dei capelli bianchi, pochi sentirono come Riccardo Selvatico la poesia innocente dell’infanzia: l’uno, mente più raccolta, amava considerare con occhio pensoso la vita che si chiude; l’altro, cuore effusivo e paterno, sorrideva con tenerezza alla vita che s'apre.
Fra i due artisti v’era stata, così, una specie di reciproco ausilio: Riccardo Selvatico aveva dato il primo esempio e il primo impulso; Giacinto Gallina l’aveva ricambiato con esempî più larghi e con impulsi più profondi. Ma la tempra era diversa. Il Gallina, ingegno poderoso e sintetico, procedeva per tratti compendiosi e non curava di lasciare attorno al metallo delle sue opere, anche migliori, le bave della concitata fusione; il Selvatico, spirito inappagabilmente analitico, si indugiava con trepida religiosità su tutti i particolari, tanto da riuscire a fondere e a cesellare ne I Recini da festa un lavoro squisito di oreficeria artistica.
Concatenazione armonica di scene, evidenza rappresentativa di caratteri, innesto temperato di motivi sentimentali nella trama comica, spigliatezza briosa di dialogo, venezianità irreprensibile di parola: tali le virtù che fanno di questa commedia una tra le cose più perfette del moderno teatro veneziano.
Ma la perfezione e il trionfo dei Recini parvero, come accadde ad altri ingegni eletti e coscienziosi, e