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          Andemo, vissere,
          Sera i to ocieti,
          Fin che mi resto
          Per sti intrigheti;
          Za fasso presto!
          E co’ li termino,
          Subito mi
          Vegno co’ ti.

          In cheba, vardilo,
          Fin l’oseleto
          El xe una bala
          Col so becheto
          Soto de l’ala;
          Via dunque subito
          Fa come lu,
          No pianzer più.

          Questi che tugola
          Sora l’altana
          Xe colombini
          Che fa la nana
          Ai so putini;
          E se le bestie
          Le fa cussì,
          Dormi anca ti.

          Po’ se ti buleghi
          Tanto sul leto,
          Ti sa che arente
          Ne sta el vecieto
          E ch’el te sente;
          Che s’el ne capita
          De suso lu,
          Poveri nu!

          Via, dunque, scondite,
          Fichite soto:
          Dormi, amor mio,
          Che za deboto,
          Varda, ò finîo;
          No voi che meterte
          Sto taconsin
          Sul to abitin.

Venezia — fu cento volte ripetuto — è la Città dell’amore. S'intende. Qui dove tutto vi tiene come sospesi in un mondo chimerico, la passione sembra acquistare il diritto di sciogliere i freni comuni della virtù; qui, ogni oggetto, ogni aspetto sensibile, anzichè turbare il sogno silenzioso con cui esaltiamo la creatura amata, lo asseconda e gli presta la complicità della sua ammaliante e quasi irreale bellezza. Voi le

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