libero cielo, sul terreno storico di Venezia, non già in un tepidario intellettuale. Per questo, essa rimarrà viva e cara, fino a quando la musica vernacola delle lagune non si dissolva per sempre — se mai arriverà del tutto a dissolversi — nella crescente unità del linguaggio nazionale.
A Milano, la sera del 21 aprile 1890, mentre in una festevole riunione della Famiglia Artistica Riccardo Selvatico stava recitando qualcuna tra le sue poesie, gli fu rimesso il telegramma con cui gli amici di parte democratica gli annunciavano la sua nomina a Sindaco di Venezia.
Nel 1889 le elezioni a suffragio allargato gli avevano schiuso per la prima volta le porte del Consiglio Comunale, mentre fino a quel giorno (e contava già quarant'anni!) non era stato chiamato al più umile ufficio nelle pubbliche amministrazioni. Che cosa aveva contribuito a infliggergli quell’inverosimile ostracismo? Certo, l’avversione dei conservatori del vecchio stampo pel fervido liberale, ma insieme la diffidenza dei così detti «uomini serî» verso l’artista; essendo ben noto che per gli uomini serî, abituati a coltivare la sapienza delle scrollatine di capo, delle frasi tronche e dei silenzi gravi di presunta profondità, l’artista che si accalora, che si esalta, che si svia inebriato dietro un fantasma, che discute accani-