Venezia non è più la Città della gloria e dell'opulenza, ma è forse quella in cui torna più facile ricomporne le immagini, per incanto di luoghi e per suggestione di ricordi. Così la Regata, che a qualche occhio cieco parve uno spettacolo insignificante e a qualche cuore freddo una mascherata, esercita sull'anima un duplice fascino, fantastico e storico. — Una gara che ha secoli di vita: un popolo che segue con ansia le sue vicende: uno scenario monumentale ove ogni pietra custodisce una memoria: uno stuolo natante d'imbarcazioni d'ogni nome e d'ogni forma, da cui emergono flabelli ondeggianti e baldacchini e veli e rostri e strane figure pittoresche curve sui remi: il sole che declinando, trae dalla festa degli uomini una concorde letizia di luci... oh come può l'anima dinanzi a questo spettacolo resistere agli impulsi reconditi del sentimento? e come può la fantasia non rievocare fugacemente i giorni scomparsi?... La stessa quiete languida e sonnolenta in cui si risolve l'orgasmo di quell'ora, l'ombra che viene nereggiando sul Canal grande deserto dopo quello sfolgorio di porpora e d'oro, formano un motivo penetrante di antitesi e di poesia.
Tutto questo dice la lirica di Riccardo Selvatico, che comincia col volo dell'inno, — si delinea e colorisce in una mobile successione di quadri, — per chiudersi con un fervido ritorno all'apostrofe dell'inno: