maggiori effetti coi piccoli mezzi, obbedire sempre ai freni della misura, servirsi della parola come di un veicolo snello e trasparente dell’idea, non come di fregio vistoso che le si sovrapponga, essere vero senza volgarità, affettuoso senza smancerie, accalorato senza enfasi, comico senza sguajataggine, amaro senza iracondie, fu l’ideale costante di Riccardo Selvatico. Quanto al teatro, ne condannava sempre più gli artifici estrinseci e ne rifuggiva, fino a misconoscere tal volta le imperiose necessità tecniche ed ottiche del palcoscenico; egli avrebbe voluto ridurre la favola all’estrema semplicità, svolgendola in guisa che i suoi momenti e atteggiamenti successivi apparissero determinati soltanto dalla logica interna dei fatti e dei caratteri. Restò sempre osservatore e poeta insieme; e come osservatore, preferì all'espressione generica la scelta delle particolarità caratteristiche, dei piccoli tratti significativi; e come poeta, mirò a sprigionare dall’involucro delle cose osservate l’anima morale ch’esse racchiudono.
La morte gli fu crudele, perchè lo strappò nel vigore dell’età alle dolcezze della famiglia, alla devozione degli amici, e perchè gli tolse di legare alla scena un’altra nobile creazione. Ma gli fu pietosa, risparmiandogli le pene (ch'egli tanto temeva!) di una lunga malattia. Riccardo Selvatico trapassò repentinamente, con un sorriso troncato sulle labbra, dall'intimità domestica all’eterno mistero, nella sua villa di Roncade, il 21 agosto 1901, di ritorno da una seduta di quel Consiglio comunale, dove egli aveva combattuto concitatamente la proposta di aprire una