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Il nostro Giuseppe Caprin, nel suo gustosissimo e pregevolissimo volume I nostri nonni, ci dà il ritratto del Miniussi: un faccione sbarbato dall'espressione bonaria, con gli scopettoni ai lati degli orecchi, come si vedono nelle incisioni raffiguranti l'Alfieri... o il Donizetti. — Vestito alla goldoniana... o quasi.

Il Miniussi, in ordine di tempo, è il primo poeta dialettale triestino, dopo spenta la parlata ladina, del quale ci sia stato tramandato qualche componimento. E coi suoi versi si inizia pertanto questa raccolta, che comprende i poeti dialettali triestini dal principio del secolo decimonono fino ai nostri giorni.

Dopo i pochi saggi che, oltre al Miniussi, ci diedero il dottor Giovanni Tagliapietra e Alessandro Revere, fratello del poeta di Osiride e dei Bozzetti alpini (care figure già da lungo tempo scomparse e che pochi vecchi a Trieste ancora ricordano), abbiamo dato posto d'onore, doverosamente, alla più pura ed artistica figura di poeta vernacolo, che abbia adornato il Pindo triestino: al Padovàn, l'arguto Polifemo Acca, che fu a Trieste uno dei più assidui frequentatori intellettuali della «Società di Minerva» e dell'antico «caffè Tommaso», da lui cantato satiricamente in un delizioso poemetto.

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