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vano il nostro bel dialetto, e conclude vibratamente che

Col jègher e 'l patòc1 no se fa scola.


Dopo il Padovàn, la poesia dialettale triestina in parte si trasforma, tenta altre vie, sconfina dalla parlata borghese, si democratizza, cerca il linguaggio, più caratteristico e più rude, del popolano.

E intanto la canzonetta triestina — al cui giogo la musa di Polifemo Acca mai aveva voluto piegarsi, perchè egli la riguardava una imposizione, una cambiale a scadenza fissa — si viene librando sulle ali del vento. E molte canzonette di inspirazione patriottica, dalle allusioni più o meno velate, corrono le vie della città, ansiosa di redenzione, schiacciata dalle restrizioni della polizia austriaca: espressioni di insofferenza, canti di un popolo che morde i freni e sussulta.

A Roma i ga San Piero,
Venezia ga el leon,
Da noi ghe xe San Giusto
Col vecio suo melon...

si canta per le vie, e dall'accomunare Trieste con Roma e con Venezia balza fuori la mal

  1. Jäger è vocabolo tedesco che vuol dire cacciatore; patok è sloveno e significa torrente.
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