e dal Gallina. Non può dunque recar maraviglia che a Trieste, cento anni fa, si parlasse diversamente da oggi.
Le traccie ladine o friulane, del resto, esistevano ancora nella parlata dei nostri nonni. Un vecchio triestino: il cav. Felice Machlig, morto circa dieci anni or sono, ebbe a raccontare al sac. Don Pietro Tomasin che due signorine Leo, patrizie triestine, solevano parlare quel linguaggio mezzo friulano che il Mainati ci ha conservato nei suoi Dialoghi. E ancora nel 1880 c'erano a Trieste dei vecchi che, per dire le tredici casate, dicevano le tredich chasadis. Il compianto abate Jacopo Cavalli, morto recentemente nella sua nativa Trieste, dopo aver provato l'immensa gioia di vederla redenta, raccolse con francescana pazienza i vecchi cimelii triestini dimostranti che a Trieste parlavasi a quel modo anche nei secoli anteriori; e quello illustre glottologo che fu il prof. Ascoli commentò poi con la sua profonda dottrina i cimelii stessi. I saggi del Mainati sono dunque un prezioso documento, a testimonianza della ladinità del nostro vernacolo, ed è giusto che, a questo titolo, sia loro attribuito un valore.
Le correnti veneziane si infiltrarono poi nella parlata triestina a poco a poco.