«Non sò in che giuoco non habbia veduto le mie disgratie. S'ho fatto a Toccadiglio, e a Sbaraglino, non ho si tosto toccati i dadi, che mi hanno sbarattato del mondo. Se a Tarocchi, mai non conobbi nè quella buona ventura traditora. Se alla Bassetta, di quante carte ho chiamate, non me ne rispose mai una. In quante notti di Dicembre sono, che non mi trovai di vincita due quattrini.»
E il Garzoni stesso in quel capacissimo calderone detto la «Piazza universale di tutte le professioni del mondo» dove, plenis manibus, se non gigli versò un intruglio di cognizioni importantissime per noi, curiosi e non ingrati nepoti, assegna un capitolo speciale ai giocatori «in universale et in particolare»1, nel quale, dopo la consueta sfilata d'autori che gli fan da colonna, ricorda i giuochi d'allora che divide in fanciulleschi «et in giuochi da huomeni». Se li vegga chi vuole: tanti sono che ci viene meno il buon volere; ricorderemo solo che si giuocava, tra l'altro «a tarocchi, a primiera, a gilè col col bresciano bruscando una da quaranta almen per volta, a trionfitti, a trappola, a flusso, a flussata, alla bassetta, a cricca, al trenta, al quaranta, a minoretto, al trenta un per forza, ò per amore, a Raus, . . . . . . . . . . . . . . a i dadi da tavole, a quei da farina, a scaricar l'asino, a toccadiglio, a sbaraglino, a tre dadi...»
A uno di codesti giuochi rassomiglia un anonimo2 le cure d'amore:
L'amor se proprio co se la bassetta,
che l'homo ghintra cusi a puoco a puoco,
ma el non ha perso la prima gazeta
che ti 'l vedi spazao, ti 'l vedi tocco,
de sorte che va fin a la baretta,
a chi no se de malmaro, o de zocco,
cusì anche l'amor se a sto partio
che pì che l'homo perde pì el và drio.
Nella «Zattera» del Cieco d'Adria3 v'à tra gli altri un gentiluomo che