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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
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NOTA.


«I Morti?» o «Una Morta?» o «Marcello» e null’altro? L’autore era incerto fra questi titoli. Il primo rispondeva senza dubbio alle sue intenzioni psicologiche ed ho creduto pertanto di mantenerlo; pure, conoscendo per fraterna consuetudine la ripugnanza di Riccardo Selvatico ad ogni forma anche lontana, anche apparente di pretensione, io penso che all’ultima ora si sarebbe deciso pel semplice nome del singolare protagonista.

Egli concepì la prima idea della commedia nel 1888; venne a più riprese rimaneggiandone la trama; cominciò a stendere il dialogo nel 1900. Volle usare il dialetto, per rifarsi la mano, come amava dire, per abbandonarsi con maggiore spontaneità ai moti del sentimento, sopra tutto per meglio evitare il pericolo dell’enfasi, difetto codesto che gli pareva assai frequente nella nostra letteratura drammatica. Quando però la commedia fosse stata compiuta, aveva in animo di darle veste italiana.

Scrisse interamente due atti e le prime scene del terzo, ma, com'è ricordato nella prefazione, nulla potè rivedere e correggere. Così il dialogo procede in qualche punto diffuso e vagabondo, la frase è qua e là trasandata, non mancano le scene superflue e l’atto [p. 148 modifica]primo s’allunga oltre le convenienti proporzioni. Ma io volli rispettare con grande scrupolo quanto uscì dalla sua penna. Soppressi solamente le zeppe e le ripetizioni manifeste che gli erano sfuggite nel lavoro di getto e, tra le varianti, mi attenni a quelle ch’egli avrebbe secondo ogni ragionevole congettura adottate, cioè alle espressioni più limpide e svelte.

Dopo il principio dell’atto terzo, non restano più che frammenti. Sono scene abbozzate, scene accennate, appunti e spunti. Servendomi di questo materiale frammentario e affidandomi, per colmare qualche lacuna, alla memoria dei figli, ho procurato di esporre quanto più esattamente mi fosse possibile l’ulteriore svolgimento dell’azione.

Fallirei a un dovere di assoluta sincerità — la virtù che a Riccardo Selvatico fu così cara — se non accennassi a due dubbi che lo avevano tormentato, riguardanti l’uno la tessitura, l’altro la conclusione della commedia.

Quanto alla prima, egli temeva d’aver voluto abbracciare laboriosamente due azioni successive e si domandava se non convenisse forse respingere la prima parte nell’antefatto, per dare alla seconda una più vigorosa ed ampia efficacia di riscontri e richiami. Rispetto alla conclusione, egli s'era dibattuto a lungo fra la più spietata — il distacco di Marcello da Emma, il suo scomparire per destini ignoti con la figlia di Adele — e la più consolante — la ricostituzione della famiglia consacrata dalla memoria buona dei morti —; e quantunque il suo acume di artista non gli nascondesse che la prima soluzione sarebbe stata [p. 149 modifica]più intrepidamente logica, pure la sua invincibile gentilezza d’animo gli fece preferire la seconda.

Separandomi con cuore turbato dalle pagine che seguono — nel rileggere silenziosamente le quali, mi parve spesso di rivedere dinanzi a me il dolce amico scomparso, di riudire la sua voce, di conversare con lui in rinnovata intimità di spirito, di identificarmi quasi con la sua natura inquietamente coscienziosa e interrogatrice — una domanda mi viene alle labbra: sapranno tutti comprenderle? sapranno sentire le intime virtù ch’esse racchiudono?

Non tutti, di certo. Ma chi dalla statua sbozzata di un artefice che rivelò altrove la sua squisita perizia sia capace d’arguire le pure linee della statua compiuta, chi dai lampi intermittenti di una bellezza che sta ancora prendendo vita e coscienza tragga la chiara intuizione della bellezza definitiva, non potrà, credo, esitare. Egli coglierà ad ogni passo i pregi d’arte e di umana commozione che balenano in quest’opera e che sarebbero apparsi in pienezza di luce ove Riccardo Selvatico avesse potuto condurla a termine, disciplinandola col suo senso meditato di misura e di armonia.

Questo pensava un nobile maestro della scena, egli pure tristamente scomparso, che potè leggere il manoscritto: Giuseppe Giacosa. E il suo giudizio conforta e rinfranca il mio trepido amore, nell’ora in cui sottraggo alla pia custodia della famiglia e abbandono al libero giudizio del pubblico le care pagine repentinamente interrotte dalla morte.

A. F.

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