Il popolaccio confonde il d col z; onde dice verze al color verde, e viceversa verde alle sverze o verze, erbaggio; e così ove il colto Vicentino dice mazego al fieno maggiatico, il rustico lo dice madego; andar do, per andar zo, ossia giù; mando per manzo. Quest'uso del d per z è opinione dei Grammatici che fosse proprio dei prischi Latini (vedi Lanzi, Tom. I. pag. 90).
I Vicentini sono proverbiati per una certa tal quale loro cantilena o allungamento dell'ultima vocale, ch'esce nel fine di un periodo. Vidì là pel canalee; vignì quà che ve la conteaerrata corrige originale. Il Brunacci osservò questo vezzo nelle più antiche memorie del dialetto Veneto in Padova, e i Veneziani lo accusano nel suddialetto dei Buranelli. Probabilmente i Veneti in origine parlavano tutti con questa allungazione.
L'n riceve di spesso un g avanti sè stesso. Gneve vale neve; Gnevo significa la nostra illustre famiglia Nievo; gnespilo il nespolo; e più stranamente per nuvolo dicono gnivolo.
Il g unito all’i ed all’e e si trasforma come il c in z; onde dicesi zente, zenero, zirone, zoso per gente, genero, girone, giuso. Se vero è che il nome del paese Colzè è un composto di colle e giù, questa voce, che trovasi all'anno 975, è un testimonio dell'antichità di questa pronunzia.
I Vicentini volgono l'j toscano in r. Per esempio, in fine delle voci vespajo, solajo, stajo, pajo dicono vesparo, solaro, staro, paro. Uno di questi esempi, rinvenutosi in sul principio del secolo XIII., mostra come il vezzo è più antico di Dante.
Queste osservazioni, che servono a risparmio di molte voci che non avrebbero altro diritto d'essere registrate come Vicentine, secondoerrata corrige originale la diversità della loro pronunzia dalla Toscana saranno aumentate ove ne cadrà al loro posto l'occasione.