Cerere, Giove, e Mercurio

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
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Cerere, Giove, e Mercurio


APOLOGO.


Sulle furie montada
     Cerere inanemada,
     Vedendo che xe sora la terra,
     Chi ghe vol far la guerra,
     Varie deità l'aduna
     Tutte intorno de Giove alla tribuna.
Ella gh'espone in fato
     Un accidente ingrato,
     La ghe dise che ghe tutti i momenti
     Povari i più insistenti,
     Che pianze su i so altari,

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     Perchè i generi vegna, e manco cari.
Esatta la presenta
     Un quadro immenso dove scritti resta
     I prodotti dell'anno,
     Restai netti da secco, e da tempesta;
     La mostra un fiero affanno,
     Vedendo, che se tenta
     De farla comparir presso i pitocchi,
     Come la dea, che ga forse interesse
     Nei monopoli, e nei mortali stocchi.
Sto quadro cussì esatto
     Euclide ghe l'ha fatto:
     L'ha controllà Archimede,
     E Astrea degna de fede
     (Almanco in quel momento)
     Un vidit nel foggio,
     Per più farlo legal ga messo drento.
Mostradi i so allegati,
     Dove, che a conti fatti,
     Risulta che ghe giera,
     Mercanzia sufficiente
     Per poder soddisfar tutta la terra,
     Messa de Giove arente
     Scalmanada la parla in sta maniera.

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          Se a un consesso venerando,
               Pare santo me presento,
               No incolpeme d'ardimento,
               Deghe retta alla rason.
          
          Tutti i zorni, son seccada
               Da continui piangistei,
               Vecchi, zoveni, puttei,
               De mi sempre tiro zo.
          
          A sentirli mi ghe tegno,
               Figureve el so bisogno,
               Ah! che dirlo me vergogno
               Come i parla ancuo de mi.
          
          Da vu istesso podè dirlo,
               Se mi gnente me sparagno,
               Per portarghe del guadagno
               Per poderli consolar.
          
          Vorli piova? ghe la mando,
               Vorli caldo? gh'el concedo,
               Dunque causa no ghe vedo
               De vegnirme a importunar.

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          El formento cresce presto,
               Longhe un brazzo xe le spighe,
               Fali lori le fadighe,
               O le fazzio invece mi?
          
          A sentir sti povaretti,
               Son la causa mi de tutto,
               Questo dunque sarà el frutto
               Del mio tanto sfadigar?
          
          Alle curte mi son stuffa,
               Ghe del marzo, e lo conosso
               Se lavora a più non posso,
               Per ridurme a scomparir.
          
          A sto affar mi no presiedo,
               Casca el mondo, a gnessun patto...
               La quaresema mi ho fatto,
               Fazza un altro carneval.

Sentida dal tonante
     Sta concludente energica protesta,
     Grattandose la testa,
     A Cerere che gera indispettia,

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     Scordando la costante,
     E natural in lu grave apatia,
     Fatto un esordio de stranui potenti,
     Cussì el s'esprime in sti ristretti accenti.

     » Dopo che m'avè dito
          » Sta filastroca intiera,
          » Tutto vedendo ho visto,
          » Quel che se stilla in tera,

     » Conosso ah! sì pur troppo,
          » Che ghe de st'intriganti,
          » Ma mi li go in registro,
          » Credèlo tutti quanti.

     » Go un tacuin immenso,
          » Dove ogni dì li noto,
          » Ste pur tranquilla, o cara
          » Che gnente a mi xe ignoto.

     » Propono anzi un castigo,
          » Da darghe a sti signori,
          » Ch'esercita l'usura,
          » Che fa da incetadori.

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     » Propono..... ah no me tegne
          » De dir quello che penso,
          » Fia mia sughè quel pianto,
          » Ghe mettarò un compenso.
     
     » Vegna da mi Mercurio,
          » Ello a sti tali impera 1,
          » Quieteve, e mi sul fato,
          » Vago a spedirlo in tera.
     
     » Mio messaggier, ch'el vaga,
          » A far quel che ghe digo,
          » Vedarè ben mie viscere,
          » Se so finir sto intrigo.

Chiappà co tutta furia el campanello
     Come alle Gambarare el podestà
     Usava nel chiamar l'ernioso sbiro,
     Capita su el bidello,
     El vol che presto quanto xe un sospiro
     Da Mercurio prontissimo lu cora,
     Che de ritorno el sia fra un quarto d'ora.

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Mercurio prontissimo,
     Sentindo el comando
     Nol resta de bando
     El vien in gran furia
     Tirando el segon 2.

El fa profondissima
     Na gran riverenza,
     E Giove scomenza
     Co un mezzo stil epico
     A dirghe cussì.

Motivi grandissimi
     In furia me mette
     Voria far vendette...
     Voria destrigarmela...
     Voria fulminar.

Ma fin che una piccola
     Lusinga me avanza,
     Infin che speranza
     Me resta de vedarli
     Un poco a cambiar;

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Trategno i me fulmini,
     Vu istesso ve chiamo,
     Desidero, e bramo,
     Che in terra sollecito
     Vu subito andė.

Sia pronta una nuvola,
     Partì de galoppo,
     Tardada de troppo,
     S'ha ancora sta visita,
     Da brao no dormì!

Portè zo sta lettera,
     So mi cossa ho scritto,
     Ve ascrivo a delitto,
     Se solo de un atomo
     Vu a sorte tardè,

Da brao destrighemose
     Ve mando zo a posta,
     Portè la risposta,
     Nè là stessi a perdarve
     Co chi digo mi.

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Mercurio messo in tutta confusion,
     Rifletterghe nol pol,
     Che a sta lettera manca la mansion;
     A svolo el vien in tera,
     Ma a far cossa per crista in sta maniera?
     L'è quà, ch'el se savaria,
     Nol sa se star abbasso, oppur per aria
     Sta faccenda credeu, che la sia bella?..
     Mercurio ga la lettera in scarsella.




Note
  1. Ciceron ha contà cinque Mercurj. Questo xe 'l Dio dei ladri.
  2. Equival a tirar el fia a gran stento.
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