Il dialetto e la lingua/Arabeschi popolari

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.

Vittorio Fontana

Il dialetto e la lingua

Arabeschi popolari

1924

Edission original:	Il dialetto e la lingua, Antologia vernacola, a cura de Vittorio Fontana, Verona, M. Bettinelli, 1924
Fonte:	Indice:Il dialetto e la lingua - Antologia vernacola.djvu

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[p. 111 modifica]

ARABESCHI POPOLARI

I.

                         Tarabara va in palasso
                              Co 'l so libro soto ’l brasso,
                              E par dir la so razon
                              Tarabara va in prezon ¹.

↑ Ho voluto riportare anche codesti quattro vessi vernacoli, che corrono sulla bocca del popolo, specie fra ragazzi, e che alludono a qualche fatterello del famoso Tarabara. Il quale (a parere di A. Pighi che ne parlò nel giornale Verona Fedele a. XXIV, n. 4) doveva essere una specie di Bertoldo. Di nome era Bartolomeo Facci, di sopranome Tarabara, nato in Verona 1712 morto 1782. Esercitava prima il mestiere di facchino, ma desideroso d’impaarare leggeva libri di storia e poesia; fece quindi il venditore di vecchi libri stando in Piazza de’ Signori o sui gradini della Loggia del Consiglio; cantava novelle improvvisando, e suoi sono i: Cento enigmi o indovinelli (stampati a Verona nel 1807).

II.

Ed un altra è qui da citare, nota fra i coscritti veronesi delle guerre d'indipendenza:

                         Verona, Verona l’è béla,
                         Ma Peschiera l’è circondada,
                         Se va a la guera,
                         Se va a la guera,
                         S’è i coscriti che va a l'armada,
                         I va a l’armada a guereggiar ¹.

↑ Durante il periodo delle guerre d’indipendenza il movimento romantico aveva fatto dei canti, dei proverbi e delle leggende una speciale letteratura, quella popolare, espressione pura e genuina dell'anima nazionale in tempi in cui gravavano da secoli su di essa i diritti delle Dinastìe e le ragioni di Stato. (Cfr. Studi di etnografia e di folklore, diretti da Raffaele Corso, Roma, Casa Ed. L. da Vinci 1923).

[1] Ho voluto riportare anche codesti quattro vessi vernacoli, che corrono sulla bocca del popolo, specie fra ragazzi, e che alludono a qualche fatterello del famoso Tarabara. Il quale (a parere di A. Pighi che ne parlò nel giornale Verona Fedele a. XXIV, n. 4) doveva essere una specie di Bertoldo. Di nome era Bartolomeo Facci, di sopranome Tarabara, nato in Verona 1712 morto 1782. Esercitava prima il mestiere di facchino, ma desideroso d’impaarare leggeva libri di storia e poesia; fece quindi il venditore di vecchi libri stando in Piazza de’ Signori o sui gradini della Loggia del Consiglio; cantava novelle improvvisando, e suoi sono i: Cento enigmi o indovinelli (stampati a Verona nel 1807).

[2] Durante il periodo delle guerre d’indipendenza il movimento romantico aveva fatto dei canti, dei proverbi e delle leggende una speciale letteratura, quella popolare, espressione pura e genuina dell'anima nazionale in tempi in cui gravavano da secoli su di essa i diritti delle Dinastìe e le ragioni di Stato. (Cfr. Studi di etnografia e di folklore, diretti da Raffaele Corso, Roma, Casa Ed. L. da Vinci 1923).

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