Il dialetto e la lingua/Dal dialetto alla lingua

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Dal dialetto alla lingua
1924

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Il dialetto e la lingua, Antologia vernacola, a cura de Vittorio Fontana, Verona, M. Bettinelli, 1924

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Edission e fonte ▼ Esempio di versione sulla lavagna  →
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Dal dialetto alla lingua


«Istruire il popolo quanto basta,

educarlo più che si può».


A tutti gli Insegnanti
delle Scuole Elem. e Medie
di primo grado


PER UN PROGRAMMA

Le ultime Istruzioni Ministeriali insistono per una più giusta applicazione dei programmi per le scuole nostre; e suggeriscono il nuovo, o meglio rinnovato, metodo d’insegnamento; così lo stesso Ministero della pubblica istruzione formula codesti programmi, de’ quali è bene qui riepilogare ed illustrare i criteri direttivi pedagogici.

Alle Scuole elementari hanno da riuscire utilissime le versioni dal dialetto alla lingua e, per conseguenza, dalla lingua al dialetto. Mezzo questo per dare agli alunni un’idea chiara e giusta dei vocaboli, delle frasi o locuzioni, le quali sono espressione degli stessi pensieri; esercitarli quindi a pensar davvero su quanto leggono od ascoltano facendo proprio il pensiero significato dalla parola, prima nella lingua materna o della balia, poscia nel linguaggio di tutta la Patria; insomma si devono far toccare, quasi con mano, le differenze e le somiglianze, le affinità maggiori o minori fra il dialetto nativo e la lingua comune nazionale.

Un vecchio insegnante, G. L. Patuzzi, in una relazione letta il 22 sett. 1898 alla Accademia di scienze, lettere ed arti, proponendo un Vocabolario veronese-italiano, lamentava la mancanza di studi comparativi fra il dialetto e la lingua; epperò soggiungeva parole vere allora e vere ora;

«I ragazzi, e non solo i ragazzi, che praticamente conoscono il dialetto, non sanno, in moltissimi casi, dove cercare la traduzione di ciò ch’esce spontaneo dalle loro labbra; e siccome non esistono programmi e grammatiche del dialetto da confrontare con la lingua, trovano a scrivere gravissime difficoltà». Nel caso concreto il Patuzzi affermava: «Mi sembra che agevolare l’apprendimento della lingua per mezzo del dialetto, ai Veronesi della città e provincia, serva a rendere più facili tutti gli altri insegnamenti, e che tentar questo sia contribuire a tener vive le tradizioni popolari e l’affetto alla Patria». [p. 6 modifica]

Vi sono modi di dire perfettamente uguali nel dialetto e nella lingua; onde gli alunni — dietro la guida del Maestro — vedono ed imparano che la fraseologìa popolare italiana (specie nella regione Veneta) si avvicina a quella che è della lingua nostra anche quando non s’aspetterebbe. Noi diremmo di più, in quanto al contenuto, che cioè la letteratura vernacola, a chi la intende e la sente, è la più profonda sintesi dell’anima e della sapienza di un popolo; e ne è anche forse la espressione più sincera.

Il dialetto o vernacolo è la voce più naturale delle varie popolazioni, che costituiscono la grande Patria comune.

Ora è bene adoperarsi a rendere intelligibili a tutti queste voci del popolo, soavi e dolci e delicate o frementi, a seconda dell'anima di lui; ma ciascuna per l’una o per l’altra ragione piena di poesia come di pratica naturale sapienza.

I dialetti sono voce italiana quanto la lingua nazionale e pur sono immortali quanto la stessa lingua e giovano allo studio dell'intera Nazione, la quale (come la nostra) possiede prose e poesìe d’una potenza magnifica consacrata in opere d’arte che gareggiano con quelle pensate e scritte, per dirla con l’Alfieri, nell’idioma gentil sonante e puro. A provar ciò bastano i nomi del Goldoni, di Carlo Porta, di Gioacchino Belli, di Giovanni Meli, del Brofferio, di Antonio Lamberti, di Giacinto Gallina ed altri moltissimi che fiorirono e fioriscano nelle varie regioni.

Benedetta l’arte vernacola! e lode a coloro che sanno coltivarla con amore intelligente e dignità di fine; lode a coloro i quali usano l’ingegno a vivificare la vita nuova della Patria coi limpidi ruscelli, zampillanti dall'anima e dalla fantasia popolare! Non avete voi notato una meravigliosa rifioritura del vernacolo in questi ultimi tempi? 11 teatro dialettale è oramai seguito ed applaudito dall’un capo all’altro d’Italia; nè è solamente l’arte di un Benini o di un Musco che gli dà valore. I canti del popolo vanno da un confine all’altro, provando come l’esistenza dei dialetti (ed in Italia più che altrove) sia una necessità storica, ma ad un tempo una gloria, una tradizione che niun fato cancella o toglie nella profonda e vivida coscienza nazionale. Avviciniamoci dunque a questi poeti del popolo, a queste anime sincere che cantano — non per la glorìola di letterati, — ma per impulso del cuore e per desiderio della verità umana. Leggerli e conoscerli; interpretarli per le generazioni crescenti; sentirli e farli sentire, è un avvicinarsi alle più pure fonti della vita, è un riaprire l'animo dei giovinetti alla sorridente letizia; è un cogliere, approfondendola, la speranza nel lavoro, nell'amore del prossimo; è trasfondere negli spiriti sani una gioia perenne e inesauribile.

***

Certamente è da curarsi molto la scelta delle prose e poesie dialettali che debbono essere le migliori (o quelle che, a giudizio del Maestro, sembrano migliori) e più adatte a formare un Libro di lettura pratico, utile, dilettevole; così esso libro deve essere graduato, cioè dalle cose più semplici e facili a quelle mano mano più ardue. [p. 7 modifica]

Perchè si badi, l’alunno di tutte le scuole può avere nel Libro non soltanto materie svariate, ma particolarmente fatti riguardanti gli usi e costumi della regione o provincia ove il testo ha da essere adottato. Dalla piccola famiglia o patria piccola lo scolaro apprende ad amare la famiglia o patria grande; dal ristretto cerchio delle pareti domestiche volge l'occhio e la mente ai confini del territorio ch’egli più conosce e quindi ai confini della intera Nazione. Direbbe Dante, nel metodo anche qui essenziale, «dal centro al cerchio», dal nodo alla periferìa, per giri concentrici salendo dal meno al più.

In siffatta guisa il Libro è istruttivo ed a un tempo educativo, nelle Letture, varie sì, ma tutte dirette a una méta sicura. Perchè noi vogliamo che i fanciulli si facciano uomini tali che la mente e il cuore e la coscienza operino in loro ad un fine unico; tantochè questo fine diventi un senso equilibrato e sereno della vita, che porti al rispetto verso i parenti ed i superiori, che sproni all’amore al lavoro, alla tenerezza verso i deboli, all’entusiasmo per ogni civile virtù, alla ripugnanza del parlar disonesto, alla venerazione ai morti, all’affetto perenne della famiglia, infine alla ferma coscienza che l’integrità della vita rimane un bene assoluto così per sè come per gli altri, vogliam dire in genere per tutta la umana società.

Tale ha da essere la Scuola: tali i libri che alla scuola si dánno; e siano unite sempre istruzione-educazione. Di libri educativi, sani e lieti non c’è troppa abbondanza in Italia.

«Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci» lasciò detto il poeta latino Orazio, ed il Voltaire riaffermò che il dilettevole è più utile dell’utile, parafrasando una sentenza che fu proclamata dai più antichi educatori pedagogisti ai più moderni, anzi ai più esperti Maestri della scuola.

E sia sempre norma, anche nello studio della lingua, la legge pedagogica «partire dal noto all’ignoto».

***

Veniamo ora alla diretta applicazione del metodo suggerito dai recenti programmi ministeriali per lo studio dei dialetti italici. È una traccia non uno svolgimento, volendo lasciare al docente libera iniziativa. Ecco l’esempio.

Il Maestro fa scrivere sulla lavagna, poi sul quaderno dell’alunno, o l’una o l’altra — da lui opportunamente scelta — poesia o prosa dialettale; la legge o la fa leggere, secondo la migliore pronunzia; la fa dire quindi allo scolaro in lingua buona italiana; spiega il costrutto e le parole, e queste fa notare volta per volta in modo d’avere quasi ogni giorno la certezza che l'alunno ha imparato (parallelamente al dialetto e alla lingua) una parola o un frase nuova tanto da formarsene un dizionarietto ch’egli studia poi a casa o con i compagni1. [p. 8 modifica]

Spesso può il Maestro valersi del racconto vernacolo, letto e spiegato, per offrire allo scolaro un tema di componimento in lingua.

Questi gli esercizii di versione e di retroversione che sono praticissimi per lo studio d’ogni lingua. Per questo appunto dicono i programmi: Sulla prosa o poesia dialettale si faccia prima la costruzione, poi la versione ed insieme le osservazioni di lingua e di grammatica. Si diano quindi le nozioni generali del dialetto che si parla, si mostrino le affinità, le irregolarità in rapporto continuo con la lingua nazionale; si noti infine tutto ciò che è idiotismo e ciò che è solecismo nella espressione propria ed esatta del pensiero. Tutto ciò per confronti ed esempi facili, piani e continuati; istruire sempre dilettando.

E concludiamo.

Il presente libro vuol essere come un MANUALE, che ha da interessare (speriamo) e piccini delle Scuole e grandi fuori della Scuola. Per questo gioverà tenere innanzi il Dizionario delle voci e frasi riscontrate nei cosidetti «brani» da noi scelti, e qui distribuiti, di poesie e di prose d’autori anche di luoghi diversi della provincia.

Tali autori sono in genere nomi noti; gli ignoti (da varie fonti) sono i creatori delle fiabe, dei proverbi, delle storielle allegre di popolo, dei motti che sono qui e qua più in uso.

Nemmeno si creda che gli esempi offerti rimangano ristretti alle sole mura di Verona; il che sarebbe troppo poco; ma comprendono ogni luogo o paese della nostra Provincia, che è una delle più estese d’Italia e forse pel linguaggio una delle più importanti come terra di confine. Così devono interessare le Scuole tutte dall’un capo all’altro, dai Monti Lessini alle plaghe del basso veronese; perchè ben si sa che il materiale che gli studiosi chiamano folkloristico è più abbondante largo e copioso fuori che non dentro la breve cerchia delle mura cittadine.

Abbiam creduto per ciò aggiungere alle poesie e prose, più significanti o preferite, quanto su lo stesso argomento trovasi in altri scrittori proprii di lingua italiana. Il paragone (fatto saggiamente dal Maestro) può giovare assai, anche oltre il semplice raffronto fra la lingua ed il locale dialetto.

Le indicazioni, a pié di pagina, le noterelle storiche, letterarie, linguistiche ecc. ai brani o pagine scelte sono state limitate al puro necessario: si intende per lasciare campo al docente di fare quella che è la più interessante lezione orale. Di siffatte lezioni ogni pagina, ogni racconto o fiaba o novelletta offre opportuna occasione.

Che il libro dica tutto è pretesa che nessuno ha (specie nella misura d'un lavoro succinto per la Scuola); che però sia guida od ajuto a dir tutto, questo è sempre desiderabile a vantaggio di tutta la scolaresca.

Auguriamo quindi (se è lecito finire con un augurio) che il presente Manualetto possa trovare il consenso di quanti nella Scuola vivono e per la Scuola cercano sempre «con intelletto d’amore» la migliore e più proficua via.

D.r VITTORIO FONTANA

Verona, aprile 1924.



Note
  1. Di tale piccolo vocabolario auguriamo sia guida ed esempio quello che sta in fine al presente volume.
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