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molti lustri alla poesia dell'anima, perchè i vicini non la intendevano, e Venezia era troppo lontana per ascoltarla.

Ma il cuore non cessava per questo di battere nel silenzio: e nelle meste allucinazioni del desiderio io la vedeva, io la sognava, io l'amava in ogni aspetto, in ogni suono, in ogni cosa che mi parlasse di lei.

L'orologio della torre di Anversa mi ripeteva ad ogni quarto d'ora i brani del carnevale di Venezia del Paganini: Bruxelles festeggiava gli anniversarii della sua libertà con fiaccole variopinte, che quei buoni Fiamminghi chiamano veneziane.

Fin sulla Senna, che si vanta di non aver nulla appreso dagli altri, e d'insegnare al mondo ogni arte gentile, fin sulla Senna un simulacro delle Regate veneziane mi faceva piangere ogni anno. Le Regate veneziane a Parigi che, nel trattato di Campoformio le aveva abolite per sì lunghi anni nelle Lagune!

Io cercavo i cavalli di Corinto sul frontone della Maddalena, parendomi qualche volta, come a Napoleone, che farebbero più bella mostra colà, che nella città venduta all'Austriaco. Ma era il voto del poeta che aveva bisogno di rivederli: non quello del cittadino che anzichè schiavi a Parigi, doveva desiderarli prigionieri per alcun tempo sulle antiche lor basi, dove presto o tardi, il grido del popolo vincitore li avrebbe fatti esultare!

Io cercava nelle faccie sconosciute e straniere che mi sfilavano innanzi qualche lineamento che mi richiamasse le grazie ineffabili della donna veneziana. Mi parve d'esser ricco, quando il mio amico Filippi mi regalò una bella edizione delle Feste Veneziane della Michiel: e quel libro, impari al soggetto, mi parve pur bello e poetico. Mi parve bello e poetico per associazione di idee, perchè mi richiamò alla mente l'arguta sembianza di quella vecchierella che fu detta, e speriamo a torto, l'ultima veneziana. Ultima certo di quelle dame che poterono vedere dalla Procuratìa, l'orgia disonesta di coloro che avevano compra, venduta, e tradita la regina dell'Adriatico! Ma non potendo ravvisare nè a Bruxelles, nè a Parigi, nè a Londra qualche cosa che mi richiamasse le belle di Giambellino, di Giorgione, di Tiziano, ne lamentava talora perduta per sempre la razza, e rotta la stampa.

Ma nelle serate musicali mi avvenne alcuna volta di sentire la Biondina in gondoleta, La note xe bela, e qualche altra melodia del Parrucchini, o del Buzzola, che preferivano ancora il molle verso vernacolo ai Rispetti amorosi dei Fiorentini.

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