Raccolta di proverbi veneti/Al lettore
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Cristoforo Pasqualigo, Raccolta di proverbi veneti, Terza edizione, Treviso, Luigi Zoppelli editore, 1882 |
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Mantenni la mia promessa: ed ecco questa Raccolta accresciuta di altri duemila e cinquecento proverbi. I quali, mentre integrano la buona ed arguta immagine del nostro popolo, offrono ampia materia di studio a coloro che, oltre il senno e il carattere di lui, vogliono conoscerne il linguaggio, in ciò che ha di più vivo e permanente, come sono i proverbi. Perchè accanto ai vernacoli della pianura veneta, quì vi son quelli del Bellunese, del Friuli, del Cadore, dell'Ampezzano e di molta parte del Trentino, con quello tedesco che non si parla omai più che da pochi vecchi superstiti nell'altipiano dei Sette-Comuni vicentini.
Buon numero ne raccolsi io ne' miei viaggi autunnali in tutto l'Alto Veneto, e qui a Venezia, specialmente de' friulani dalla gente della provincia di Udine che viene fra le Lagune o a prestar l'opera sua nelle famiglie, o a vendere i prodotti delle sue piccole industrie.1
I bei proverbi di Livinallongo mi furono mandati, con le loro illustrazioni, da quel detto e gentile uomo che è il Decano Don Bartolomeo Zardini. Il quale mi diede pur quelli di Val Badia, dove il dialetto veneto finisce e comincia il tedesco; e quelli dell'Ampezzano, con l'aiuto a lui e a me gentilmente prestato da Don Giuseppe Pescollderungg, sacerdote di Cortina.2 Il chiarissimo naturalista Prof. Francesco Ambrosi mi mandò da Trento molti proverbi, che egli aveva raccolti nella Valsugana, fra i quali ne trovai parecchi di nuovi, che aggiunsi agli altri.
Dal Cadore, quelli di Pieve, di Calalzo e del Comelico me li diedero i signori Achille ed Antonio Vecelli, e i fratelli G. B. e Giovanni Giacobbi. Quei di S. Vito il bravo signor Giovanni Ossi, noto a tutti gli alpinisti che salgono l'Antelao, il Sorapis, il Pelmo. Ivi, come si vedrà, si parla un dialetto che differisce dal Friulano assai meno che quello di tutto il Cadore intermedio.
Pei proverbi nella parlata tedesca dei Sette-Comuni (ivi detta cimbrica) fui molto fortunato nel rivolgermi all'esimio D.r Giulio Vescovi di Asiago, ed ai degni Parroci di quei paesi, dove s'è fatto meno scarso il numero di coloro che ancora la usano insieme al prevalente dialetto vicentino e alla lingua italiana. Le loro raccolte, che si trovano nell'Appendice al volume, saranno tenute in pregio, massime dai filologi tedeschi, contenendo gli estremi avanzi di una lingua che fra poco in quell'altipiano sarà spenta interamente e per sempre; e che sarebbero andati perduti, se non mi fosse venuta, forse un po' tardi, l'idea di farli raccogliere.
Quì a Venezia l'egregio Notaio D.r Pietro Benvenuti e i giovani miei scolari Carlo Allegri e Raffaello Vivante, ed, a Lonigo, il mio amico Daniele Dalla Torre, non si lasciarono sfuggire un proverbio senza notarlo e darmelo con grandissima premura.
A tutti loro rendo le migliori grazie ch'io posso. Mi perdonino se mai fossi stato soverchiamente importuno, promettendo loro che tale sarò in avvenire; perchè io non metterò il cuore in pace finchè creda che ve ne sieno ancora degli altri da raccogliere. Al popolo Veneto, così attento osservatore e fino scrutatore dei fatti (dai quali hanno origine, conferma e longevità i proverbi), e ingegnoso nell'esprimere i suoi concetti, da non temer chi lo vinca, dobbiamo tutti cercare di far onore quanto egli si merita.
Tutti, inoltre, dobbiamo aver cara la sapienza pratica, positiva, reale, che è ne' proverbi; la quale avvezza la mente a «badare alla verità effettiva delle cose, non alla immaginazione di essa». È una sapienza minuta e pedestre, che però, quando sia bene ordinata e illustrata, può, senza vergogna, stare accanto a quella, certamente più grande, più ideale, più nobile, ma spesso fantastica e artificiale, che si trova nei libri. Una sapienza frizzante, lesta, spontanea, figlia dell'esperienza e del tempo, che mai non invecchia, anzi acquista novo splendore quanto più crescono nel mondo la signoria dell'intelletto e l'amore del Vero. — Sarebbe un'esagerazione l'applicare ad essa il detto di Cicerone: Meliora sunt ea quæ natura, quam quæ arte perfecta sunt. (Nat Deor. I); ma si può ben dire con lui: Omnia quæ secundum naturam sunt, æstimatione digna sunt (De Finibus. III. 16); e con Ovidio: Utile doctrinis præbere senilibus aures.
Di sentenze e passi di antichi scrittori, cominciando da Esiodo, saranno sparsi, non sopracarichi, i capitoli di questa Raccolta; i savi famosi confermeranno i detti dei savi ignoti, che son graditi a quanti, beati di una bona ed elevata coscienza, godono di sentirla superiore o conforme a quella primitiva dell'umana famiglia.
- Venezia, Novembre 1881
- C. Pasqualigo
- Note