El marìo cortesan/Atto quinto

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.

 Edission original:   

Pietro ChiariEl marìo cortesan, Bologna, nella Stamperia di S. Tommaso d'Aquino, 1789

 Fonte:

Indice:El marìo cortesan.djvu

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ATTO QUINTO.
SCENA PRIMA.
Lucietta, Bettina, e Tonina.

Bett. TIolè, che sugo è questo, star quà a vardarse drìo.
Ton. Ghe stemo anca nu altre.
Bett. Ma son senza el marìo.
Luc. Doverìa la Commedia debotto esser finìa;
          El vegnirà, pazienza.
Bett. E tutto per colìa.
Luc. A dispetto del diavolo la gha volesto andar.
Bett. Con quel siroppo in corpo.
Ton. L'è matta da ligar.
Bett. Ella xe matta; e intanto chi tiol de mezo? nù.
          Mio marìo xe con ella.
Ton. Sta sera, e po no più.
Bett. Che'l prega el so gran diavolo. El vegnirà sto can:
          Cosa sa far Bettina, lo saverè doman.
          Altro che vita mia, care le mie raise.
Luc. Cossa mo ghe fareu?
Ton. Oh questo no se dise.
Bett. Ma sa el Ciel quanto ancora de sospirar me tocca:
          A Roma no la va, che no l'è tanto allocca.
          Cossa diseu Tonina?
Ton. Gnanca la sel figura:
          I fa cusì per farghe un poco de paura.
          Ma sta paura sola val più, che no se stima.
Luc. Donca, cara Tonina, baroni come prima.
Ton. Eh che no la sa niente.
Luc. Sì, vegno dalla villa.
Bett. Co l'ha el zerman ghe basta.
Ton. El volta la barilla.
Luc. Che? deventelo matto?
Ton. L'è assae, che nol la mazza.
Bett. Baruffa! l'è impossibile.
Ton. Scometo una lirazza.
Luc. Ghe da niovo? Conteme.
Bett. Contene, cara vù.

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Ton. Sta carta val assae.
Luc. La val un bezzo al più.
Ton. Questa la val tant'oro che più non se pol creder.
Bett. Mostrela, cara ti.
Ton. Un traero a chi vol veder.
Luc. L'è un biglietto. A chi vallo?
Ton. Al zerman dell'amiga.
Bett. Chi 'l manda?
Ton. La Lustrissima Siora Contessa Ortiga.
Bett. Perchè portarla quà?
Ton. Da brave indovinemo.
Luc. No vedo.
Bett. Gnanca mi.
Ton. Perchè nu lo lezemo.
Bett. Come, se l'è bollà?
Ton. Sì, ghe vorrà un facchin!
          Le Donne per capriccio rompe altro che un bolin.
Bett. Vu l'aveu forsi letto?
Ton. No son tanto curiosa.
          Ma so cosa pol scriver a un gnoco una Morosa.
          In somma el barcariol, che a mi l'ha consegnà,
          M'ha contà un'istoriela, che za el Paron la sà.
          Mi scolto, mi combino, osservo, compro, e vendo;
          E cusì senza lezerlo, sto polizin l'intendo.
Bett. Contene, che ridemo.
Luc. Sì ben, che son de vena.
Ton. L'è quà el patron adesso: gho tempo dopo cena.

SCENA II.
Zanetto, Ottavio, e dette.

Zan. SIor Ottavio carissimo el m'ha da perdonar,
          Se a quattro ore de notte lo fazzo incomodar.
          L'ha da cenar con nu, che sto favor me preme;
          E po l'averà gusto, che discorremo insieme.
          Ma bisogna che aspetta, se intanto nol se attedia,
          Mio cugnà e mia mujer co i vien dalla Commedia.
Ott. Andò dunque al Teatro? Questa non la credeva,
          E ne stupisco assai.
Zan. Andarghe la doveva.
          Ho tiolto mi l'impegno, mi la gho messa in ballo,
          Bisognava lassarghela.

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Ott. Sì, vero senza fallo.
          Oh! Signore, perdonino, ch'io non l'avea vedute.
          Mille, e poi mille inchini. 1
Zan. Uno ghe basta a tute.
Ott. Torniamo a noi. Madama andò da per sè stessa,
          Voglio dir col Cognato?
Zan. La xè colla Contessa.
Ott. Colla Contessa? come? Disse, che non andava.
Ton. Caro ello, el me perdona, che me desmentegava.
          L'è giusto quella Siora Contessa stimatissima,
          Che manda sto biglietto da dar a Vossustrissima.
Ott. Permettono, che legga?
Zan. Con tutta libertà.
Ott. Già ponno sentir tutti, che mal non ci sarà. legge.
          Vostra Cugina vuole anche a dispetto mio
          Che vada alla Commedia; ma non so il palco.. Addio.
Zan. Mia mujer? No xe vero. Ella la gha invidada,
          Per dar gusto all'amiga ghe mia muier andada.
          Amigo benedetto, stè sulla mia parola:
          Questa la xè una cabala.
Ott. Perchè?
Zan. Per esser sola.
Ott. Mi manda pur l'avviso.
Zan. Ma no la sa el palchetto;
          È perchè tardi el l'abbia, la manda quà el biglietto.
Ott. Sì, sì, non dite male; e un gran affronto è questo.
Zan. El parla con Tonina, se 'l vol sentir el resto.
Ott. C'è qualcosa di peggio?
Ton. Secondo che se se vol:
          Cosse per altro vere, che ha dite el barcariol.
          Co l'è stada alla riva ancuo senza smontar,
          L'aveva un Sior in barca, che so marìo nol par.
          Se sentiva però dir certe paroline:
          Caro sto muso bello, carette ste manine.
          Quel minchion ha da spender, avè da goder vù:
          Basta; ghe quà una putta, no posso dir di più.
Ott. Peggio ancora? è possibile, che a scorno tal m'esponga
          Mia Cugina, che sa....
Ton. L'altra la sa più longa.

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          Su i occhi a so zermana i ghe la fa, co i vol:
          Mi non ho visto niente, ha visto el barcariol.
          Per sta sera a bon conto el barcariol saveva,
          Che al Teatro con elli, sior no, no i lo voleva.
          El sa po un altro intrigo da far senza de lù;
          Basta: quà ghe una putta, no posso dir de più.
Ott. Io sono... amico... io sono... nè so cosa mi sia.
Zan. Un minchion tanto fatto, se 'l tiol sta marcanzia.
Ott. Oh! no la sposo più. Vostra sorella io prendo,
          Giacchè me l'esibiste.
Zan. Mi, Sior, no lo pretendo.
          No ricuso però la so proposizion;
          Ma prima de conchiuder, la me responda a ton.
          Ghe par mo che permetter mi debba a mia mujer
          De praticar persone, che fa sto bel mestier?
Ott. Mai, senza dubbio, mai.
Zan. Ghe par ch'abbia cervello,
          Se vojo dei riguardi, trattando anca con ello?
Ott. Sempre senz'altro, sempre.
Zan. Ghe par mo troppo insoma,
          Se vojo altro sistema, o che la torna a Roma?
Ott. Tutto bene; ma a Roma, se piace a voi che vada
          Meco no, non la voglio: mi fa impazzir per strada.
Zan. Se nol vol, el stia saldo: lassemola cantar.
          Co semo nu d'accordo, mi so cossa ho da far.
          Do parole fa tutto.
Bett. Ghe vol altro, ben mio:
          Prima de tutto gnanca pensarghe a mio marìo.
Zan. Vedeu, cara sorella un vizio differente,
          Che ai mariti despiase? Vu troppo, e quella niente.
Luc. Dirò mi un'altra cossa, che in ella ghe vorria:
          Vostra mugger, credello, gha poca economia.
Zan. Metteu l'economia nell'onzer poco el speo,
          Nel sparagnar la cenere, e nel sunar el feo?
Ton. Eh sior no; la vol dir, che al specchio la mattina
          La fazza più sparagno de malta, e de calcina.
Zan. Anca questo è un vizietto, che ghe lo levarò,
          Co la sarà disposta a no dir più, sior nò.
          Sora tutto no vojo, che la se metta in vista
          Con tanto praticar.

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Bett. Ghe n'è tanta de lista.
          La Fia quà del barbier, che tien ziogo in bottega
          La mujer del sior Gasparo, che xe giusto una sbrega.
Luc. Dove lasseu quell'altra, Comare de Tonin,
          E quella revendigola, che batte l'azalin?
Ton. E quella, che ha inghiottio un manego de scoa,
          Che s'ha sbregà la petta, per metter su la coa?
Zan. Rimediaremo a tutto subito che se possa,
          Ma intanto, sior Ottavio, nu do femio qualcossa?
Ott. Io fo quel, che volete.
Zan Ghe piasela sta putta?
Ott. Bella, il dico, che senta.
Luc. Za el sa, che no son brutta.
Zan. Femio donca ste nozze?
Ott. Questo è un affar conchiuso.
Ton. Co la sa so zermana, Sior, la ghe rompe el muso.
Ott. Eh che non ho più paura. Cospetto!.. Un bel negozio
          Facea colla Contessa.
Zan. Donca no stemo in ozio.
          Quando che l'è contento, quà subito la man,
          Che le nozze a so comodo le se pol far doman.
Ott. Ecco, Sposina mia.
Luc. Me vergogno un tantin.
Ton. La fettina è un pandolo da far suppa nel vin.
Zan. Mia mugger vien a tempo, per far da testimonio.
Ott. Diavolo! m'interrompe nel bel del matrimonio.
          Celarmi in qualche loco, poi so quel che si vuole.
Zan. Case de galantomeni, no zioga a scondariole.
          Forti, e niente paura, che tocca mi a parlar.

SCENA ULTIMA.
Giulia, Bortolo, e detti.

Giul. SIamo quà.
Zan. Ben venuti. Vardè cossa ve par?
Giul. Mio cugino a quest'ora? 2
Zan. Cossa ghe xe da dir?
           El vien dalla Novizza a ora de dormir.
Giul. E chi è questa sposa?
Luc. Mi, Siora, ai so comandi.
Giul. Come? mi maraviglio. Questo è trattar da grandi?

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          Un impegno già fatto pubblico a suon di tromba.
          La Contessa... una Dama...
Luc. Tru là! largo alla bomba.
Giul. Ma... Signora Cugina... dirò... la Dama è stata... fa riverenze.
Zan. Ohibò: curte le asse. Siora, vu sè una matta.
          S'è po savesto tutto; e quella no xe zente
          Da imbarcar un amigo, e manca un so parente.
Bort. Se tutto no i savesse, ghe lo dirave mi:
          L'è un bon cao quella Siora; e basta dir cusì.
          M'ha toccà farghe luse in grazia soa, Patrona;
          Ma el diavolo me porta, se più la me minchiona.
          Quella zente se pratica? Carogna, vecchia, brutta,
          Che farave, so mi.
Ton. Zitto, che ghe una putta.
Zan. Vedeu, siora, vedeu? la gran rason è questa,
          Che pratiche non vojo, perchè quà no ghe testa.
          Dal conversar non sempre ghe vien de sti bei frutti,
          Ma bisogna distinguer, e po no l'è per tutti.
          Anca vostro zerman adesso è dalla mia;
          Onde risolvè subito: mudar sistema, o via.
          Son marìo, son discreto, ho finto, ho tegnù duro:
          L'ho volesta a mio modo, ma senza far sussuro.
          Tornè quella, che geri, quando m'avè podesto;
          Tendè alla casa vostra, che v'ho sposà per questo.
          Tiolè da mie sorelle esempio come và;
          Lassemo le fumane de borsa, e nobiltà.
          Se cusì no ve comoda, mi fazzo conto in soma,
          Che vive vostro Padre, e domattina a Roma.
Ott. Via cugina.
Giul. Via zitto.
Bort. Da brava a modo mio.
Luc. Femo cusì anca nu.
Bett. Alfin l'è so marìo.
Ton. No la se sa risolver? e adesso adesso mì
          La chiappo per la testa, per farghe dir de sì.
Giul. Senza esser violentata, mi sbrigo in due parole;
          E giuro a mio marito di far quant'egli vuole.
          Se della mia condotta vuol ch'io domandi intanto
          Scusa, e perdono a tutti....

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Zan. No, che no cerco tanto.
     La volontà me basta, perchè deve suplir
     Al mal, che xe passà, el ben ch'ha da vegnir.
     Un marìo galantomo non xe con chi lo sprezza,
     Nè tutto cattiveria, nè tutto tenerezza.
     Ghe vol el brusco, e 'l dolce: ghe vol cattive, e bone,
     Perchè maridi strambi, fa strambe anca le done.
     Quella strada de mezzo, che mi ho tegnù in sto dì,
     Me contento, che i altri la tegna anca con mì.
     Nè cerco, che i me loda, li prego a no sprezzarme;
     El mezzo più sicuro, l'è quel de perdonarme.
     Ma sto perdon l'aspetto, come se fa dai muti,
     Che colle man parlando, se fa sentir da tutti.




Fine della Commedia.



Note
  1. Vede le Donne, e fa più riverenze una dopo l'altra.
  2. Accenando Ottavio, che farà riverenze.
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