El marìo cortesan/Atto quarto

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 Edission original:   

Pietro ChiariEl marìo cortesan, Bologna, nella Stamperia di S. Tommaso d'Aquino, 1789

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Indice:El marìo cortesan.djvu

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ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA.
Giulia, Bettina, Lucietta, Zanetto, Bortolo, Marianna, tutti a tavola; Tonina, e un Barcaruolo in piedi.

Zan. COssa xe là quel piatto? 1
Giul. Lo mando a mia figliuola.
Zan. Siora no; che l'impara a no scappar la scola.
Giul. Questo è troppo rigore.
Zan. Coi fioi se fa cusì:
          Co no savè arlevarli, lassè arlevarli a mì.
          Manazzarli no serve, se star no i fe a dezun:
          Se un tira, e l'altro mola, no i teme più nissun.
Giul. Anche vostra sorella minaccia, e poi perdona.
Zan. Semo quà co sta musica più vecchia de mia nona.
          Zacchè ve credè lecito quel, che fa mia sorella,
          Fè una cossa, e m'impegno, la sarà prima anch'ella. 2
          Ohe? con dell'acqua fresca portè un cain de suso;
          Vojo, che in mia presenza tutte se lava el muso.
Luc. Mi me lavo anca i piè.
Bett. La prima mi sarò.
Ton. La vol esser liscia. accenando Giulia.
Giul. Ed io, signori nò.
Ton. No veramente?
Giul. No.
Zan. Cossa ghaveu paura?
          De non far quà per casa con mi bona fegura?
          Certe ciere sfazzade con mi le ghe la perde:
          Me piase quelle ciere, che trà un tantin al verde.
Giul. Dovreste aver capito, che questa è un'insolenza.
Bort. (Molleghe per adesso.) a Zanetto
Zan. Co no volè, pazienza.
          No me ste almanco a metterme vostre cugnade in ballo.
Giul. L'andar com'esse vanno così malconcie, è un fallo.
          Basta ben che le imiti negli atti di virtù.
Zan. Chi nol sa far nel poco, nol sa gnanca nel più.

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Bett. Semo donne de casa, tender bisogna al sodo.
Zan. La carne resta negra, co no se spiuma el brodo.
Giul. Non siete bone d'altro, che d'adoprare il fuso.
Luc. Vu no se gnanca bona de sguattararve el muso.
Giul. Lo fo quando mi pare: ma voi, ma voi, per diana...
Ton. Via la ne sona el cimbano, femo una furlana. 3
Giul. E tutto soffrir deggio?
Zan. E mi no staghio zitto?
Bort. (Cugnà, voleu fenirla? fè quel che mi v'ho ditto.
Zan. (Lo fazzo adesso adesso: manca una cossa sola.)
Bett. Marianna, a tutti quanti basè la man, e a scola.
Mar. Papà, me dallo un soldo? 4
Bort. Va via, lasseme star.
Zan. Tio, vien quà, vita mia, che mi tel vojo dar.
Mar. E niente a mia zermana?
Zan. No, no, che la se avvezzi.
Mar. Torna conto esser bone, se disna e se ha dei bezzi. p.
Ton. Sior Patron, una lettera per ello de premura. 5
Zan. Chi l'ha portada?
Ton. Un omo. 6
Zan. Un'altra seccatura. 7
Bort. (Ello questo el zioghetto, che avemo concertà?)
Zan. (No stemo a dar nell'occhio: tasè, e tireve in là.)
          Oh cospetto del diavolo!.. Sior Bortolo, sentì:
          Quel mio correspondente da Bergamo ha falì.
          Nu restemo scoverti de diese mille, e più:
          Questa è la mia rovina. Oh poveretti nu!
Bort. Burleu, cugnà?
Zan. Burlar?
Bort. Che leza, caro fio.
Bett. Ghe mancava anca questa.
Luc. Ze morto mio marìo.
Bort. Ah! Cugnà, semo rotti. Come fe sa a pagar,
          Se manca quei da Bergamo, che gera da tirar!
          Quà bisogna spientarse, e dar nei occhi al mondo.
Zan. Pian, che gnanca per questo, cugnà, no me confondo.
          Quà bisogna inzegnarse, finchè nissun lo sà.

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          Far bezzi ad ogni costo su quello che se ghà.
          La roba avemo fatta, podemo anca desfarla.
          Coraggio, che sta barca ghe tempo da drezzarla.
          Grazie al Ciel ghe xe pur dei capitali in casa,
          Adesso è da servirsene, per far che 'l Mondo tasa.
          Cossa diseu, Cugnà!
Bort. Per mi son pronto a tutto:
          Questo se sa, che vien dopo el bel tempo el brutto
          Tutto quel, che ghe in casa de mio, de mia mugger,
          Doperello, servivene, che fazzo el mio dover.
          Colla diseu, Bettina?
Bett. Patron. Mi ghe darave
          Anca tutto el mio sangue. Tiolè, quest'è le chiave.
          Abiti, zoje, arzenti, paron mi ve ne fazzo:
          Me cavo anca i manini, se li volè, dal brazzo.
Zan. No me bisogna: sta azion, tanto cara sorella,
          Da mia mugger la merito, che la l'imita anch'ella.
          Adesso, Siora, è 'l tempo de no pensarghe sù,
          E imitar le cugnade nei atti de virtù.
          Elle m'ha dà le chiave de quello che le ghà,
          Vu faressi l'istesso?
Giul. Sì ben, eccole quà,
          Ma non ce n'è bisogno, perch'io con due parole
          A ritrovar v'insegno, quanti denar si vuole.
Zan. La mel diga in volgar, che mi no l'indovino
          In che modo? da chi?
Giul. Da chi? da mio cugino.
          Guardate se vi occorrono due, tre mila ducati;
          E fate che io gli parli, che vi saran contati.
Zan. Eh! so ben che 'l ghe n'ha: nissun ve lo contrasta
          Della so condizion son informà, che basta.
          Ma vu, Siora, in sto caso no pareressi bon:
          Mi quando gho del mio, no voggio obbligazion,
          Se 'l vegnisse per casa, se 'l fasse de zenocchio,
          Bisognerave almanco, che mi serasse un'occhio.
          In casa mia nissun mai sta figura ha fatta:
          E se credè che mi lo voja far, sè matta.
          Se nol savè, a Venezia le spende, e le sparagna
          Ma le donne de casa, Siora, no le vadagna.
Giul. Tutte vostre sciocchezze, a cui solo io rispondo

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          Che nulla fa di buono, chi vuol badare al Mondo.
          Se fa a mio cugino un po' di buona ciera,
          Quanti soldi vi occorrono vi dà prima di sera.
          Perchè spogliar adunque la moglie in questo dì,
          Quando può farsi a meno?
Zan. Perchè voggio cusì.
          L'esibizion xe fatta, le chiavi le gho quà,
          El vostro lo cognosso, el mio ve xe obbligà.
          No guastè quel ch'è fatto col farme anca nasar.
          Contenteve, che prego, che posso comandar,
          Se me servo del vostro quel che xe vostro e mio.
          Gh'avè tutto a sto mondo, quando gh'avè el marìo.

SCENA II.
Tonina, e detti.

Ton. Visite, sior Patron.
Zan. Chi xe?
Ton. L'è una Contessa,
          Che ha lassà un ambassada per so mugger, ma in pressa.
Giul. (Or sì sono imbrogliata.)
Bort. (Oh che occasion bellissima.) 8
Zan. Cossa xe sta imbassada?
Ton. L'oggio da dir, Lustrissima?
Zan. Anemo, con chi parlio?
Bort. Eh! via sora a drettura.
Ton. Quà me fazzo copar!
Luc. De cossa aveu paura?
Ton. No so s'abbia strainteso, quella Contessa ha ditto,
          Che l'ha fatto sta sera tior un palchetto a fitto.
          Che ghè commedia nuova, e che presto la fazza,
          Che la va avanti intanto alla bottega in piazza.
Zan. Respondè, siora Giulia.
Giul. Per me non parlo più.
Bort. Sonemo le campane.
Zan. Responderò per vù.
          Dov'ella la Contessa?
Ton. In gondola, alla riva.
Zan. Diseghe che l'è un torto, s'ella di me se schiva.
          Che la me fa un onor, che fora de desgrazie:
          Mia mugger sarà subito a goder le so grazie.

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          Andè, e tornè da mi, che gho de vu bisogno bisogno.
Bett. Me vago a trar sul letto, che questo xe un insogno.
Luc. Ohe quei che sta col Lovo impara a urlarghe drio.
          La mugger che xe matta, fa matto anche el marìo.
Giul. Io non capisco nulla.
Bort. E mi capisso tutto.
Zan. Vedeu mo, Siora, el diavolo no xe po tanto brutto.
          Son un marìo d'onor, ma son omo discreto,
          Vù a mi ve remettè, e a vu mi me remeto.
          Se vu me compiasè, l'è ben che ve compiasa.
          E dove no gho gusto, che serra un occhio, e tasa.
          Andeve a immascherar che mio cugnà ancha lù
          Per vederve contenta, vegnirà via con vù.
Giul. (Purchè non resti in casa, chicchi si vuol mi tocchi
          Un uomo è mio cugnato, che glie la fo su gli occhi.)
Zan. Sior Bortolo ghe semo.
Bort. Adesso tocca a mi.
Zan. Savè quel che va fatto.
Bort. Bella? me par de sì.
Zan. Una mezz'ora in piazza, per strada un altro poco,
          Co tornè giusto a casa, per mi l'è fatto el fioco.
          Per far che la ghe torna, e prima del Teatro,
          No manca qualche scusa.
Bort. Tornemo a ventiquatro.
          Me vago a immascherar, e in piazza la remurchio,
          Ma con mi la sta fresca, che paro un can de burchio. parte.

SCENA III.
Tonina, e Zanetto.

Ton. OH! son quà stracca morta.
Zan. Ohimei! varda che casi.
Ton. Via cossa me comandela?
Zan. Chiappa ste chiave, e tasi.
Ton. Cosa ghe n'hoi da far?
Zan. Osserva co la va....
Ton. Chi?
Zan. Mia mugger.
Ton. E po?
Zan. Tasi, e ti 'l saverà.
          Finchè l'è via de casa, svodeghe tutti i armeri;
          Mettieghe la so robba drento de i so forzieri.

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          Giusta tutto polito, come ti sa, ma presto;
          Serra, e dame la chiave, che te dirò po el resto.
Ton. Cossa ghe? falla viazo? De indovinar presumo.
          L'andarà in Inghildon dove se pesta el fumo. parte.
Zan. Ho ditto quel che basta: se ancuo no la castigo,
          Facendoghe paura, nissun me stima un figo.
          Colle cattive un poco, un poco colle bone,
          Quando i matti xe omeni, tien a dover le done. parte.

SCENA IV.
Bortolo, e Bettina.

Bett. Bon! sfredive, e criè quando ve vien da tosser.
Bort. Adesso son in maschera, nissun m'ha da cognosser.
Bett. Spiritoso! Bort. E vu bella! Bett. Grazie dei so favori.
          Ma disè: dove andeu?
Bort. A dar la cazza ai Tori.
Bett. Vu no se mai sta in maschera in tutto st'anno un zorno:
          Coss'è sta maraveggia?
Bort. Ancuo gho pan in forno.
Bett. Senza che mel zurè, son più che persuasa.
          Ve piase el pan foresto?
Bort. No, che l'è pan de casa.
Bett. No ghe arrivo gnancora: co ghe del mal, se tase.
Bort. Ho ridesto che basta: Andè, lasseme in pase.
Bett. Mo sior no, che no vago, vojo anca mi saver
          Cossa è sto contrabando. Bort. Andè, cara mugger.
Bett. Se credesse vestirme anca da poveretta,
          Vojo vegnirve drio.
Bort. Ve aspetto alla fossetta.
Bett. Eh sior no, che andarè poco lontan da nù.
Bort. Sta notte torno a casa, cossa voleu de più?
Bett. Voi vegnir anca mi; vojo, se no me mazzo.
Bort. Prima de dirme vojo, crescer bisogna un brazzo.
Bett. Vardè ben, vardè ben, che no ve chiamè gramo.

SCENA V.
Giulia, e detti.

Giul. ECcomi, signor Bortolo, quando volete andiamo.
Bett. Adesso ho capì tutto. In macchina, patron?
          E che tocco ben mio, da far gola al liston!
          Can! più che me travaggio, più desperar me fè.
          Ma che lege xe questa?

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Bort. No savè niente: andè.
Giul. Andiam noi: vostra moglie del suo giudizio è priva.
Bett. No marìo, che se andè no me trovè più viva.
Bort. Parlè a vostro fradello, che tutto el ve dirà. 9
Bett. No vojo saver niente, no andè per carità.
Giul. Finiamola, Signore! 10
Bort. Via, che savè chi son. 11
Bett. No mario non andè, ve prego in zenocchion, 12
          Per le vostre creature: se ghavè amor per mì,
          No me lassè in sto spasemo.
Bort. Zanetto vol cusì.
Bett. No sarà vero niente. Giul. Non vol capir ragione.
          Andiam.
Bett. Siora, no vojo.
Bort. Che intrigo con ste done.
Giul. Or ora vado io sola.
Bort. Vegno. Sentì Bettina.
Bett. No vojo sentir niente: che 'l diavol te strascina
          Can... sassin...come ti dasseno ghe n'è pochi.
          Va pur, ma vaghe almanco colla bauta in tochi.
          Torna quando ti vol, mugger più no ghe xè 13
          No te dago un fià d'acqua s'anca ti mor da sè. parte.
Giul. Manco mal, ch'è partita: andiamo di buon passo,
          Che il bisogno per maschera lo troverem da basso. par.
Bort. L'ha ruzà el tempo un pezzo, e alfin po l'ha sbrocà:
          Donne, donne sè belle: ma gramo chi ghe n'ha. par.

SCENA VI.
Tonina, e Ottavio.

Ton. NOl gh'abbia suggezion, la metta su el capello;
          El patron za l'aspetta che 'l vol parlar con ello.
Ott. Eh! sapete che voglia?
Ton. Dirò: no la so tutta;
          Ma credo ch'el ghe voggia descorrer della putta.
Ott. Questo è il diavolo, amica. E se parlar mi tocca?
Ton. Povero fantolin! nol gha la lengua en bocca?
Ott. Ma voglio dir se devo restar così, e così.
Ton. Oh! quà, Sior, no se sforza nissun a dir de sì.

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Ott. Vorrei che non avesse visto il biglietto almeno,
           Che Lucietta mi tolse.
Ton. No ghel so dir da seno.
Ott. Se mi mette alle strette, giacchè devo supporlo,
           Come si fa a schermirsi?
Ton. Se zira come un corlo.
Ott. Saperlo far, sorella. Non vaglio in ciò una rapa.
Ton. Oh! nol dubita niente, ghe farò mi la papa.
Ott. Così andrebbe benissimo, se voi mi steste appresso.
Ton. Bisogna po lassarse metter a rosto, e a lesso.
Ott. Sì, come più vi piace; ma col vostro cervello
          Salvar la capra, e i cavoli.
Ton. Cioè, tria molinello.
Ott. Non disgustar Madama.
Ton. Caspita no se salla!
Ott. Che almen non se n'avveda.
Ton. L'è orba la cavalla.
Ott. Non burlar il padrone.
Ton. Faria dei bei vadagni.
Ott. Lucietta molto meno.
Ton. Sentarse su do scagni.
Ott. In somma io non so nulla senza del vostro ajuto.
Ton. Quando lu se remette, me basta: ho capì tuto.
          Sarò là in quella camera col parla col patron;
          Sentirò quel, che'l dise, quel ch'el risponde a ton.
          Col se trova intrigà, nol se staga a confonder;
          El raschia, o el suppia el naso, che correrò a responder.
          Se po de quel che digo nol fusse persuaso,
          El raschia, el suppia el naso, che corro drento, e taso. p.
Ott. Buon ripiego, buonissimo! Oh quanto pagherei
          D'esser io scaltro, e franco come mi par colei.

SCENA VII
Zanetto, Lucietta, Bettina, e detto.

Zan. M'avè inteso, Bettina. Vostro marì vel tase,
          Ma per ben se fa tutto: metteve el cor in pase.
          In tanto tutte do se la volè far bella, 14
          Ghe Tonina là in camera, andè a parlar con ella.
Luc. Caspita corro subito... e vu tendè a quel Sior. parte.

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Bett. Co vedo quella camera fin se me strenze el cor. par.
Zan. Oh! sior Ottavio caro, son quà tutto con ello. 15
Ott. Non vorrei disturbarvi.
Zan. La metta su el capello.
Ott. Sono stati a chiamarmi.
Zan. Certo; ho mandà el fachin.
Ott. Però l'ardir mi prendo.
Zan. Sentemose un tantin.
Ott. È poi obbligantissimo: non saprei dir di nò.
Zan. Via senza cerimonie, che farghene non sò.
Ott. Per me sono un tormento, nè tollerarle posso.
Zan. E pur le reverenze el dà a quaranta al grosso.
Ott. Sono avvezzo così.
Zan. Vegnimo a quel, che preme,
          E non se minchionemo, finchè quà semo insieme.
          Mi no so se la sappia cossa sia in fin, e in fondo,
          Certa zente de casa, che no sa dir el mondo.
          Perfin dell'ombra nostra paura nu gh'avemo:
          Se ben ghe xe del rosto, el fumo nol volemo.
          Sia zerman, sia compare, co i vede praticar,
          El mondo xe cattivo; ma pur el vol parlar.
          Una delicatezza in mi la sarà questa,
          Ma ghe n'è in sto paese quanti cavei gho in testa.
          Sior Ottavio carissimo, se stitico mi son
          Ne i mii panni el se metta, che 'l me darà rason.
Ott. Ragione, arciragione; nessuno ve la nega:
          Anch'io però non pratico, se non da chi mi prega.
          Se la cugina mia non mi faceva ardito,
          Quà non sarei venuto.
Zan. Questo anca mi l'ho dito.
          Quà però non ghe mal, perchè i me fa supor,
          Ch'ella con mia sorella fazza un tantin l'amor.
Ott. Adesso viene il duro. 16
Zan. Tra maridade, e fie
          Ghe xe una differenza, che va con i so pie.
          Praticar una putta con mira de sposarla;
          O che el mondo ha da saver, o pur lassar che 'l parla.
          Son marìo, son fradello, son capo de sta casa;

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          Tre obbligazion in una, le qual no vol che tasa:
          Domando pur a ello, el mio caro patron,
          Se 'l vien quà per Lucietta, qual è la so intenzion?
Ott. E questo già s'intende: son imbrogliato... e dubito.
Zan. No, caro Sior, bisogna spiegarse, e farlo subito 17
Ott. Non inganno nessuno. Torna a raschiare.
Zan. Questo l'è un altro tomo.
Ton. 18 Sior Patron la ghe creda, che questo è un galatomo.
Zan. Cosa ne saveu vu, e chi ve cerca ajuto?
Ott. Lasciate pur che dica.
Ton. Son là; ma sento tuto.
          La paroncina zovene so mi che la ghe piase;
          De sposarla el m'ha ditto sibben che adesso el tase.
          Sì, che 'l la sposerà la so intenzion xe bona,
          Se ben vorria qualcuna far creder, che'l minchiona. 19
          Sentelo quella tosse, gramazzo, che lo affanna?
          Sala cossa el vol dir? che questa è la zermana.
          Bisogna compatirlo se in questo el ghe tien drìo
          Basta dir che l'è stramba, fino con so marìo,
          Del resto po da rider sta soggezion me par;
          Co l'è fatta l'è fatta, chi la vorrà desfar?
          Manca forse ripieghi co ghe do de ste teste?
          Sallo che ghe più zorni da lavorar, che feste?
          Femole pur ste nozze, e po ghe penso mì.
          Sentela quella tosse? la me vol dir de sì. parte.
Zan. Colla diselo, Sior?
Ott. Eh già l'ho detto in pria.
Zan. Oh no, Sior, no se sforza nessun in casa mia.
          Quà de aspettar qualche anno le putte no ghe scota;
          Ne se fa zo i foresti per sparagnar la dota.
          Otto mille ducati xe pronti anca doman,
          Quando ello in sto contratto vegna col cor in man.
          Del so stato ho za tiolta informazion a st'ora,
          Ma una cossetta sola voggio saver ancora.
          Sposando mia sorella cossa ghe piase più:
          Tornar con ella a Roma, o pur restar con nù?
Ott. Ma bisogna vedere... A me questo non tocca. 20

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Ton. Ho sentì tutto, e torno a far el becco all'occa.
          No se pol pensar meggio de quello, che l'ha ditto
          De sposar la putella, e coll'amiga, zitto.
          L'andarà sulle furie, perchè no la vorria;
          Ben, quando le sposada montar in barca, e via.
          Che la ghe tenga drio a Roma, se la pol:
          Nu quà la lassaremo criar quanto la vol.
          Mi a sto bon galantomo ghe vedo el cor in man,
          Ello partir vorrave per Roma anca doman.
          Col gha l'amiga in sedia, nol vol più de cusì.
          Sentelo quella tosse? el ne vol dir de sì. parte.
Zan. (Culia m'ha inteso in aria, e ziogo la m'ha fatto.)
          Eh ben cossa me diselo? Seremo sto contratto?
Ott. Io son quà... ma c'è ancora un no so che, ch'io temo.
Zan. Vien della zente adesso, doman discorreremo.

SCENA VIII.
Giulia, Bortolo, e detti; poi Tonina, Bettina, e Lucietta. 21

Zan. CHe finezza xe questa per far che soffra, e tasa?
          Prima della comedia vien mia mugger a casa?
Giul. Veniamo a salutarvi, poi se ne andiam di fretta.
Zan. Graziette, cara fia: andè che no i ve aspetta.
          Godevela al Teatro; vardeve ben dal freddo:
          Almanco un scaldapie vel portarè mi credo.
          Anzi stupì, e vardè se penso a vu ben mio,
          Vojo che abbiè sta sera tutto el bisogno adrìo.
          Poderè mudar cottola, se questa ve par sbrisa;
          Poderè, se ve occor, muarve de camisa.
          Vegnì mo via, Tonina, se tutto xè giustà. 22
Giul. Che vuol dir questa istoria? 23
Bort. Adesso el vel dirà.
Ton. La marcanzia xe quà, sia bona, sia cattiva,
          Dove ghal da portarla?
Zan. In barca zo alla riva.
Giul. Quella roba con noi dentro la barca nostra?
          Come? cosa ho da farne?
Zan. Alfin l'è roba vostra.
          L'è quà: no la volevo nè vender, nè impegnar:

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          Ma me son tiolto spasso per farve taroccar.
          Mugger cara, mi vedo che de zirar ve preme,
          E però l'è impossibile che la duremo insieme.
          Zacchè vostro zerman a Roma va bel bello,
          Per moverve un tantin ghe podè andar con ello.
          Tutto el vostro bagagio l'è pronto, che 'l vedè:
          Se ve bisogna bezzi, semo quà nu, parlè.
          Co ve sarè sodada, quando averè godesto,
          Questa xe casa vostra, ma no tornè sì presto.
          Per far le vostre visite prima de andar lontan,
          Podè restar sta sera a casa del Zerman.
          Mi così no averò chi me teta de mazo,
          E farò con mio comodo a darve ancha el bon viazo.
Giul. Così tratta un marito, e un mio cugin lo tolera?
          Indegnità! insolenze!
Ott. Via non andate in colera.
          Io fo quel che mi dicono, e se non mi mandavano
          Io non direi d'andare.
Bort. Pol pensar meggio un ravano?
Luc. Cavemose, Bettina, che 'l tempo se fa brutto. par.
Bett. Per mio marìo l'è bon, cusì l'averò tutto. par.
Giul. Voi per me non parlate? A Bortolo.
Bort. Fia mia me maraveggio.
          Ghe quà vostro Zerman ; lu v'ha da dar conseggio. par.
Ott. Io so quello che vogliono, ne sia pur persuasa.
          Servitore umilissimo, la sto attendendo a casa. par.
Ton. Quello parla da omo: la vaga, la se svaria.
          Per i mali de testa, bisogna mudar aria. par.
Giul. Tutti contro di me! E voi, voi siete il primo
          A sprezzarmi in tal forma?
Zan. Anzi che mi ve stimo.
          Cerco de secondarve, in libertà ve lasso
          De andar alla commedia, perchè gh'abbiè del spasso.
          Vel digo ben sul sodo mentre che ste al Teatro
          Fè riflession a tutto, fella tre volte, e quattro
          Son un omo d'onor, sè mia mugger... insoma
          A vu sta de risolver, o mudar vita, o a Roma. par.
Giul. Questa non l'aspettavo, e il caso mio detesto.
          Maritiamoci, Donne, che morirem più presto. par.


Fine dell'Atto Quarto.



Note
  1. Giulia dà di nascosto un piatto a Tonina con della roba.
  2. Si levano da tavola.
  3. Parte, e poi torna.
  4. Dopo aver baciata la mano a Bortolo.
  5. Gli dà la lettera.
  6. Via di nuovo.
  7. L'apre, e legge.
  8. A Zanetto
  9. A Bettina a parte.
  10. Tirandolo.
  11. Come sopra.
  12. Si ginocchia.
  13. Gli salta adosso gli getta via con furia capello e bauta, e parte.
  14. In questo mentre Ottavio stando in un cantone va facendo delle riverenze.
  15. Abbracciandolo.
  16. Raschia, e Tonina si affaccia, e si parlano a cenni.
  17. Raschiando come sopra.
  18. Dopo esser stata un momento sulla porta esce.
  19. Ottavio tossendo sarà lazzi, che non s'impegni di troppo.
  20. Tossendo come sopra.
  21. Due servitori entrano nella camera di Giulia.
  22. Esce Tonina colle altre, e i servitori portano fuori due Bauli.
  23. A Bortolo.
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