Canti pel popolo veneziano/Prefazione

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PREFAZIONE

DI GIULIO PULLÈ

LETTA ALL'ATENEO VENETO

NELL'AGOSTO 1844.



Quell'interesse intenso e sempre operoso, che sprona l'uomo a frugare nelle reliquie del passato, come a cercarvi l'impronta, la traccia di ciò che contribuì un tempo a renderlo splendido e celebrato, è un sentimento nobile e magnanimo, è prova d'ingegno, di cuore, e di volontà.

Perciò vediamo, compresi di sacro tremito, muti di pietà e reverenza, parecchi illustri viventi, starsi cogli occhi avidi, e col cuore palpitante allo scoperchiar d'un avello, dove giacciono l'ossa pressochè incenerite, d'un che fu sommo. [p. VI modifica]

Quale fra gl'Italiani, per esempio, avrebbe, or fa on anno, veduto senza commozione trarre alla luce del giorno lo scheletro del Petrarca, da più di cinque secoli giacente nelle tenebre della tomba?

Quale fra le grandezze della terra si sarebbe sentita da tanto, di non curvare la testa umilemente dinnanzi alla incredibile immobilità di quel Cadavere che, già vivo, colla potenza del suo genio e de' suoi destini, mosse e sconvolse tanta parte di mondo, e trasse milioni di menti a fanatizzare per esso?

In simili circostanze ogni menoma cosa involata alla morta spoglia, che pur valga a ricordarla; una falda di veste, un bricciolo d'ossa, un pizzico di cenere, si tengono in spregio d'inestimabile reliquia, si pagano, se fa d'uopo, enormi somme.

Da un individuo trasportando il pensiero ad un corpo morale, facciamo lo stesso argomento. Si ricercano, si studiano ed illustrano tuttodì, con molto utile e sottile sapienza i costumi, le abitndini, l'armi, le vesti, le suppellettili, e persino il sembiante di nazioni scomparse. La scoperta di [p. VII modifica]un monumento diroccato, d'un frantume di colonna, d'una lapide dissotterrata, sparsa di cifre egizie, etrusche, o gotiche; fa inarcare mille ciglia, battere mille cuori, rischiara e conunenta molte e molte pagine di storia.

Ma molte e molte pagine di storia non parlano ai sensi, nè convincono così prontamente come la vista d'un ara antica di recente dissepolta, su cui, roso dalla ruggine, giaccia tuttora il coltello del sacerdote sacrificatore colto, chi sa? dalla rovina del tempio in quella appunto che scannava la vittima! L'occhio lo vede, l'anima è presente alla misteriosa cerimonia, l'osservatore rivive tutto in quella remota età; e l'impressione improntatasi, per tal modo nella mente non si cancella mai più. Questo avviene per quella innegabile preponderanza che hanno mai sempre i fatti sulle parole; perchè la vista è un argomento a cui il più caparbio e riottoso intelletto non può a meno di aggiunger fede.

Sennonchè storie, lapidi, monumenti, non sono cosa per tutti; meno pel volgo propriamente detto. Chi è solito usare la vanga, l'incudine, la sega, trova, senza crescersi fatica, sussidio alla [p. VIII modifica]memoria, e fonte di erudìmento, in una più facile maniera di apprendere; nella tradizione.

Dove si voglia ritornare col pensiero alle epoche del medio evo, trovasi per lo più una specie di tradizione popolare associata alla poesia ed al canto. Una folla di menestrelli, giullari, trovatori, dov'erano banchetti o tornei, accorrevano trionfanti coi sonagli ai piedi ed al berretto, celebrando lietamente al suono del liuto o dell'arpicordo, le gesta dei più famosi guerrieri e capitani del loro tempo. Ed il popolo raccoglieva con avidità le impressioni di quei ritornelli; apprendevanle a memoria; se le trasmettevano come in retaggio di padre in figlio, formando così dei volumi di storia viva e parlata; sicchè ben di sovente trascorrendo per le vie delle città, udivi uscire dalle fumose officine e dalle taverne, le glorie del tuo paese, sposate a facili e gaje cantilene.

Specchio fedele, ed interpreti delle opinioni e del valore di un popolo erano que' canti; e non avveniva di raro che pochi versi soltanto bastassero a concitare all'armi a mille a mille i cittadini. Udivansi, in luogo di vuote e licenziose canzoni, parole di generoso sdegno, eccitamenti magnani[p. IX modifica]mi alla virtù, all'amore di patria, alla vendetta de' ricevuti affronti. E solo dopo tutto ciò, ma come premio dovuto al valore, come corona della vittoria, l'amor concedeva un baleno di speranza al prode cittadino, che coronato il capo, sudante e sanguinoso dell'alloro dei vincitori, tornasse a rivedere le patrie mura. Per tal modo la donna, avvilita e vituperata nelle canzonacce che corrono pel volgo oggidì, figurava in quelle antiche ballate, nei laj, virelaj, romanze, serventesi, come un genio animatore, come l'angelo del premio, e serviva così al vero e miglior suo destino!

Le città italiane abbondarono anch'esse di tal genere di poeti popolari; ma questi sparirono tutti col dileguarsi dei secoli della cavalleria; quando le menti non più agitate da repentino entusiasmo, parvero anche le mani men pronte a conceder larghezza, d'onde usciva il pane pei poveri vati; quando al furore degli armeggiamenti e delle stragi cittadine, prevalse il mite affetto all'arti belle ed alle lettere, ed in luogo di corazze, d'elmi, e di scudi, incominciarono a diffondersi libri stampati, ed a leggersi. [p. X modifica]

Ma pel mitigare dei tempi, la gente italiana in cui la poesia e la musica sono destino e natura, doveva dunque ammutire? giammai: il popolo, che non ebbe più a maestri gli erranti poeti, si mise a comporre da sè versi e strofe, di diverso ritmo, di rime per lo più assonanti, ma pure versi: ed ecco le borgate, i contadi, le città, armonizzare, qual più qual meno, stornelli o villotte, canzonette o tarantelle, a norma del paese dove avevano origine.

Quest'è la poesia popolare tradizionale, in parte storica ed allusiva, in parte di mero capriccio, della quale veramente intendiamo parlar noi in questa prefazione.

Venezia unica in tutto, operosa e guerriera sino all'ultimo della sua potenza; Venezia che in fatto di costumi tutto creò del proprio, nulla tolse da nessuno, se si eccettui la mollezza all'Oriente, suo giardino di delizia; ebbe anch'ella senza dubbio i suoi canti popolari. E come non li avrebbe avuti la città del valore, della sapienza, della poesia, di tutte le voluttà? Siffatti canti se per le altre genti d'Italia erano diletto, pei Veneziani diventavano bisogno. Isolati dal continen[p. XI modifica]te per vasto braccio di mare, soli in mezzo all'eterno prodigio della loro gloria, e dei loro monumenti, come non disfogare coi versi e col canto la piena dell'ammirazione e dell'entusiasmo ond'erano continuamente compresi? Che altro poteva fare il guerriero, reduce dai rischi e dalle fatiche delle lunghe ed aspre battaglie, nei brevi ozii della pace, fuorchè al cheto lume di luna, sdrajato nella negra e pensosa gondola, spaziar sul lascivo bacino dell'acque, allato alla donna del suo cuore, amando e cantando? Che può far mai di meglio il povero pescatore, il quale consuma le notti a bordo della sua navicella, fuorchè ingannar l'ore e la noja col canto?

Ora questi canti, emanazioni di cuori infiammati di sviscerato amor patrio, gelosi de' loro originali costumi, potevano mai trattar d'altro che di fasti, avventure, luoghi, e gente veneziana? potevano mai essere vuote ed insulse cantilene senza significato nè scopo?

Di simili poesie, che noi chiameremo col popolo canzonette, o villotte a la veneziana, furono già pubblicate altre raccolte; e poichè avevano molte di quelle la corrispondente loro [p. XII modifica]musica originale a fronte, ci venne fatta un'osservazione, essere cioè tutte scritte nel toni minori.

Qual sia la ragione di sì curioso accidente non sapremmo. Pare che i Veneziani abbandonandosi all'affetto, si tingano per naturale inclinazione d'una lieve melanconia, che trasfonde in chi li ascolta maggior tenerezza. Forse quella quiete augusta che regna per le vie di Venezia, singolare in paragone delle città di terra-ferma, è motivo di tale accidente: infatti, ognuno che al pari di me non sia nato su queste rive, avrà provato, nel porvi il piede, una certa maraviglia, un serramento di cuore, una, dirò così, dolce paura d'un silenzio così nuovo ed universale.

Se dunque v'ha delle canzonette originali di pubblica ragione, ond'è che non se ne senta cantare di rado, o mai, per le strade? Ahimè! la fatal moda che ogni cosa invade e scompiglia; le sovrabbondanti melodie, ed i cori rubati al teatro che rimbomba di sempre nuova musica, la vinsero; e fecero dimenticare, o trasandare a' buoni veneziani, la cara semplicità de' loro canti primitivi, non basta; sin anco il Tasso è andato in [p. XIII modifica]disaso! il Tasso una volta tanto comunemente intonato sulla poppa delle gondole, ond'ebbero i barcajuoli veneziani una specie di celebrità!

L'autore di queste villotte (le quali se non sono tutte tolte dal popolo, possono servire al popolo), per tentare se è possibile di renderle bene accette ed interessanti, ha cercato di dare ad ognuna una tal quale importanza. Allude taluna a costumanze cittadine; tal'altra a tradizioni o credenze; quale ad una festa patria; quale ad un trionfo o ad un fatto clamoroso: ricordano alcune strade o luoghi di Venezia noti per qualche singolare accidente, altre infine tendono a svelar l'indole puramente, ed il carattere degli abitanti. Tutte poi s'aggirano sopra tempi che non sono più.

Illustrate con note diligenti ed estese, per quanto il comporta il soggetto inchiuso nella strofa, comporranno esse un libro che accoppiar deve l'erudizione col diletto, non inutile affatto alla curiosità, singolarmente degli stranieri, che hanno pur troppo, ad eccezione di pochi, di queste nostre veneziane cose così strambe ed inesatte idee. [p. XIV modifica]

E forse chi sa? dalla spiegazione di semplici e brevi strofe tolte dal volgo, potrebbe anche il dotto lettore cavar maggior frutto che non crede! Una frase, un proverbio, un'apostrofe, che paiono bene spesso vuote di senso, sono per la loro applicazione, pel remoto loro simbolo, di non poco rilievo; chè il volgo nella sua ignoranza sovente è filosofo, e maestro molto più utile di tanti, che balestrano dalle cattedre l'eloquenza, o spargono volumi d'opere che costano sudori ad essi... e a chi le studia.

Mirano altresì questi canti ad un altro desiderabile scopo; quello cioè, se non di rendere il popolo più morale, almeno di sbandire dalla memoria, e quindi dalla bocca detta gente quelle disoneste e stonate cantilene, onde abbiamo nauseati e frastornati tutto giorno gli orecchi. Ed oh! se il modesto autore di queste udisse una notte dal suo tranquillo letticciuolo ripetersene taluna in sulla via, che bei sogni per esso! che notte fortunata!

Degna di considerazione è dunque l'idea dalla quale siamo spronati a pubblicare codesto libro: e se è vero che nel giudizio che si dà [p. XV modifica]d'ogni opera debbasi avere un tantino di riguardo anche al fine a cui tende, non sarà, speriamo, trovato al tutto indegno d'amore e di compatimento.

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