Par l'ingresso de le trupe Taliane 'n Verona

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Qualità del testo: sto testo el xe conpleto, ma el gà ancora da vegner rileto.
Par l'ingresso de le trupe Taliane 'n Verona
1908

 Edission original:   

Il dialetto e la lingua, Antologia vernacola, a cura de Vittorio Fontana, Verona, M. Bettinelli, 1924

 Fonte:

Indice:Il dialetto e la lingua - Antologia vernacola.djvu

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Par l’ingresso de le trupe Taliane ’n Verona
1866


O Todeschi, se pensè
          Da ’ndar proprio for de i piè,
                         Ancor si’ galantomeni!
E bison che me consola
          E ve diga ’na parola
                         Ma propio co ’l cor libaro.
Me, savì, che v'ò volesto
          Tuto el ben che s’à podesto,
                         Secondo i vostri meriti;
Ma credìo che go avù ’l core
          De pregar anca el Signore
                         Ch’andè fora de l'anima.
Consolève par sta volta
          Se l'Italia i ve l'à tolta,
                         Par regalarne el Veneto.
.... E vardè de no tornar
          Qui l'Italia a becolar 1
                         Come ’n te l’aria libera!
Se venì ’n tei nostri monti
          Par la cazza qua j’è pronti
                         Tanto il Re che i suditi;
E Vittorio Emanuele
          ve fa cavar la péle
                         E dopo anca l’embálsema.
Cossì adesso l’è fênìa
          E isperemo che andè via
                         Par tuti quanti i secoli!

Matìo Zócaro 2

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Note
  1. Becolàr, significa veramente pilluccare e si dice delle vivande; qui è per pasturare, e «pillucando denari con le tasse o gabelle».
  2. Due parole su questo poeta e sacerdote patriotta: Pietro Zenari, da Stefano e Angela Bettili, nacque in Soave di Verona il 1830; ebbe il padre ucciso da un ufficiale austriaco nell'aprile 1846, donde quel giusto rancóre contro gli oppressori della Patria pei quali cantava un terribile Dies irae:

                             «In die ila, in die ila
                             «I tedeschi va in favila
                             «Se anche i fosse in çentomila».

    ed urlava il versetto:

                             «Recordeve, porche spie
                             «Che le vostre teste rie
                             «Le va ’n fumo in ila die!».

    Eletto Arciprete di Caldiero, resse la parrocchia con saggezza, amato da tutti.

    A cinquantanove anni, colpito da paralisi all’altare — nella solennità d'ell'Epifania — confinato quasi immobile in un letto, egli che aveva tanta vita, ebbe un mese di strazio e l'8 febbraio 1889 la morte lo tolse dal martirio.

    Valga, per tutte le poesie politiche, riferire di lui il «canto al Veneto liberato da re Vittorio Emanuele».

    Viva la nostra Patria,
         Evviva il nostro Re,
         Viva la bella Italia
         Che schiava più non è.
    Possiain parlar, siam liberi!
         Non più martirii e pene;
         L'Italia dell'Austriaco
         Ha infrante le catene.
    Cessarono i patiboli,
         Le carceri, gli affanni;
         Passò l'età dei martiri,
         Il tempo dei tirarmi.
    Già sulle torri spiegansi
         I tre color dei forti,
         Già fulminato ha i barbari
         La spada dei risorti.
    La nostra terra, l'aere,
         Il ciel è alfin salvato
         Dal lezzo dell'Austriaco,
         Dal puzzo dei Croato.
    Dall'Alpi all'Adriatico
         Le terre ed i castelli
         Saranno tutti Italia
         Famiglia di fratelli.
    Il fiero augello nordico,
         Co' suoi cruenti artigli,
         Dalle Italiane viscere
         Non strapperà più i figli.
    O Patria gloriosissima,
         I forti tuoi guerrieri
         No, non cadran più vittime
         Sul campo di stranieri.
    Vittorio ha aperto ai militi
         La nobile carriera;
         Egli alza formidabile
         L'Italica Bandiera.
    Giuriam tutti difendere
         Dalle straniere genti
         La benedetta e fulgida
         Insegna del Redenti.
    Figli d'Italia intrepidi
         Levate il vostro sguardo,
         Riconoscete liberi
         Di Cristo lo stendardo.
    Valga quel segno a sperdere
         Ogni viltà fra voi
         E vegga oggi la Patria
         Gli antichi figli suoi.

    Verona, ottobre 1866.

    Mattìo Zócaro

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