Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano/Scritti del secolo XVI
1832
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Edission original: |
Bartolommeo Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, compilata ed illustrata da Bartolommeo Gamba, giuntevi alcune odi di Orazio tradotte da Pietro Bussolin, Venezia, dalla tipografia di Alvisopoli, 1832 |
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Quanto più la lingua degl'Italiani soggettata a regole grammaticali si andò distendendo, tanto meno si adoperò nelle scritture quella de' vernacoli usati nelle varie loro Provincie; ma siccome sta ne' dialetti quella ricchezza di modi espressivi e di voci rappresentative che meglio della lingua comune atti sono a dipignere il brio de' pensieri e i più vivi sentimenti dell'animo, così a quella quasi sola sfera di componimenti in cui n'è largo il campo, si confinò l'uso del viniziano Dialetto. L'Eloquenza, la Poesia, la Drammatica si trattarono con buona riuscita. È grande peccato che non sieno sino a noi pervenute quelle Aringhe che pronunziarono un G. Giorgio Trissino ed uno Sperone Speroni ne' Magistrati, e che ha fatte in Senato un Gritti, un Contarini 1.
Miglior fortuna ebbero le opere figlie della fantasìa, essendosi colla stampa conservati libricciuoli più o meno dalle Muse inspirati. Riporterò qualche rozza Canzone popolare, ed un leggiadro Poemetto nel quale è cantata una Guerra di Pugni. Altro si vedrà poi di più felice vena in cui Naspo bizaro colorisce i suoi amori per Cate Biriota; indi un Canto dell'Ariosto ricorderò felicemente voltato nel nostro dialetto; indi qualche Canzone composta per esaltare le geste e le vittorie della Repubblica; una così detta Caravana in cui non pochi gentili spiriti vi si trovano raccolti per mandare lirici concenti. In fine si vedrà registrato quel Canzoniere di Maffeo Venier ad immortalare il nome del quale basterebbe la spiritosa sua parodìa fatta al Petrarca nella celebre Canzone detta la Strazzosa.
Nella Commedia, arte rinata in Italia sul finire del decimoquinto secolo, ma perfezionata nel susseguente, togliendo a modelli Aristofane, Plauto, Terenzio, s'introdusse il parlare de' Mimi che riuscì assai grato per essersi posti sulle scene personaggi che dialogizzavano ne' varj dialetti degl'Italiani. Bella gara è stata allora tra Ruzante o Agnolo Beolco padovano e Andrea Calmo veneziano; e le belle Commedie del Beolco scritte in lingua rustica padovana, e quelle del Calmo scritte nel nostro vernacolo hanno chi parla eziandio il bergamasco, il bolognese, il napolitano, il siciliano. Lo stesso toscano scrittore Giambatista Cini, nella rara sua Commedia intitolata la Vedova, impressa in Firenze, 1569, in 8. introdusse il napolitano, il siciliano, il bergamasco. Nè contento un qualche nostro scrittore de' soli nazionali dialetti, dettò eziandio componimenti ne' quali volle contraffare il parlar degli Slavi, de' Greci, de' Tedeschi frammischiato col veneziano, distinto essendosi in ciò il veneziano Antonio Molino.
Le altre scritture in prosa pubblicate nel presente Secolo XVI che a me è riuscito di esaminare, si riducono ad una nuova serie di quelle Leggi che i Crociati dettarono quando furono conquistatori nell'Oriente, Leggi fatte volgarizare dall'antico francese dal doge Andrea Gritti. Abbíamo qualche libro di Lettere capricciose scritte da Andrea Calmo surriferito e da Vicenzo Bellando, nè qui tralascio di ricordare anche quella Novella del Boccaccio, il Re di Cipri, che nel Dialetto nostro, ed in quello delle altre contrade italiane ha inserito il Salviati ne' suoi Avvertimenti.
Non è mio proponimento di parlare di opere che giacciono manoscritte; ma per la sterminata loro mole dimenticare, non voglio i Diarii di Marino Sanuto figlio di Leonardo, che in cinquant'otto volumi in foglio stanno in copia nella Marciana. L'Opera che di quest'Autore si legge nel Rerum Italicarum Soriptores ec. è stata dall'editore ridotta a lezione italiana; ma ne' Diarii suddetti la lingua e lo stile sono in quel rozzo italiano che più veramente s'accosta al veneziano vernacolo. Qualche squarcio tolto da questi Diarii ci ha già dato il Morelli nelle Notizie di Opere di disegno ec. e così pure fecero il Cicogna nelle Iscrizioni Veneziane, ed il Bettio ne' Cenni sui Diarii di Marin Sanuto pubblicati in Venezia, 1828, in 8.
I. Lamento di pre Agustino messo in Cheba e condanato a pane et acqua. Senz'alcuna data, (1518) In.8.vo. Opuscolo di car. 4.
Quest'Opuscolo, esistente nella Marciana, è senza data, di car. 4; e contiene: Il Lamento della Femena di pre Agustino, qual si duol di esser viva vedendolo in tante angustie. Nel frontispizio vedesi una Gabbia quadrata appesa ad una trave che sporge fuori da una finestrella alla metà del campanile di S, Marco. Dopo il Componimento si aggiugne al fine una Barzelletta in dialetto bergamasco.
Il Gallicioli, sì benemerito delle Memorie Venete Antiche (Vol. I. p. 260), cita una Cronaca Erizzo la quale nota, che nell'aprile dell'anno 1518 “Pre Francesco da s. Polo d'anni 30 circa, fu preso per sodomita e posto in cheba al campaniel de s. Marco, e vi stete fino al dì primo luglio” ec. Non può veramente dirsi che le querele messe in bocca di pre Agostino sieno in dialetto veneziano, ma v'ha un miscuglio di veneziano e italiano. Vediamone un picciolo saggio:
Qual sorte, qual destin, qual stela o fato,
Qual celeste ira e qual divin flagelo
In questa Cheba m'ha chiuso e serato?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Qua ben creder se può che d'ogni vizio
Si chiama in colpa chi vi sta rinchiuso!
Oh crudel mio destin, oh duro ospizio!
Mi porgono il mangiar per un sol buso
Con l'acqua che mi dan 'n vece di vino.
Or con ragion il mio peccato acuso;
E più mi duol che ogni sera e matino
Da meggio dì, e a tute quante l'ore
Mi chiaman i fanciui: o pre Agustino?
Mi danno alcuna volta tal stridore
Che son costreto de pissarli adosso
Per isfogar alquanto el mio dolore ec.
Di altro Opuscoletto senza data in 8.vo, ed impresso coi caratteri stessi dell'antecedente, intitolato; Frottole nuove de Lazaro da Crusola. Con una Barzeletta et alcune Stanze a la schiavonescha et due Barzelette a la bergamascha. Cosa da ridere, giova qui trascrivere una delle Barzelette in dialetto. Il Lettore non immagini di trovar la poesia delle scuole. I Canti popolari non sono che la espressione di naturali sentimenti, che non tralasciano per questo di essere oggetto di studio e di osservazione.
Mi son tanto inamorao
In dona Nina mia vesina
Che me dà gran desciplina
Che me vedo desperao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Mi me sento tanti afani.
(Tuti i porto per so amore!)
Che par proprio che sia cani
Ch'al mi cor fazza brusore;
Che da tute quante l'ore
Mi me sento passionao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Quel so cor par propio pezza
De formagio marzolin.
Ela sempre me calezza
Come fussi fantolin.
Quando ho abù qualche quatrin
Ela sempre m'ha cavao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Maladeto chi g'ha vogia
Da intrar in amoranza,
Che mi sento tanta dogia,
Che par ch'abia un buso in panza,
Che par propio che sia lanza
Che 'l mio cor ha trapassao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Maladeto el Dio d'amor
Che una frezza me g'ha trato,
E mi sento gran dolor
Propio come fussi mato!
Maladeto sì de fato
Quando amor mi g'ho portao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Se no fusse per paura
Sarìa forza me mazzesse
Per sta cagna traditura
Che me fa tante promesse.
Po' m'ha tolto mia braghesse
Che me vedo desperao!
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
No ghe posso pi cantar,
Che me vedo tuto storno,
Che me sento consumar
Propio come legna in forno.
Maladeto sia quel zorno
Ch'i so ochi mi ho scontrao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
Ela sempre m'ha promesso
De volerme contentar;
Quando mi ghe vago apresso
Ela mai no vol parlar,
Maladeto sia so' par,
E putana che ha cagao.
Gnao bao, bao gnao
Mi son tanto inamorao.
2. La guerra de pugni fra Castelani e Nicoloti. Dell'anno 1521.
Sotto questo titolo è un Poemetto in ottava rima di cui non conosco edizioni anteriori ad una di Venezia, per Giacomo Vincenti, 1603, in 12, fatta per cura di certo uomo il quale s'è nascosto sott'il nome di Comogolo di Stentai Mazorbian, scrivendo nel Proemio, che lo imprimeva dopo d'averlo fatto esaminare da uomini giudiziosi et eccellenti che lo hanno innalzato tutti a trombe e a piffari, e celebrato più che no se fa el Morgante Maggiore, el Petrarca e Olimpio da Sassoferrato. Emendatane la lezione si ristampò nel Vol. Primo della mia Collezione de Poeti Venezian. Ven. Tipogr. d'Alvisopoli, 1817, in 16.
Le guerre de' pugni presso i Veneziani ebbero un altro Cantore in Basnatio Sorsi, di cui si dirà appresso.
Per non far vanto di merci che non sono di nostro fondo piacemi qui avvertire che nella Bibliografia di Brunet si registra il seguente poema: Libro di battaglia chiamato Passamonte, Ven. 1514, in 4, soggiugnendo che ce Poeme romanesque est écrit en idiome vénitien; ma il Compilatore della Bibliografia de' Romanzi {Milano, 1829, in 8.vo) ch'era in possesso di un'antecedente edizione di tal Poema fatta in Venezia, pel Sessa, 1506, in 4.to, così notò: „Erra il Brunet quando asserisce che questo Poema sia scritto in dialetto veneziano: ha solo qualche parola in tale dialetto la quale si deve forse attribuire al copista dei Codice od allo stampatore”.
3. L'alta Corte, le Assise et le bone Usanze del Reame de Hyerusalem. In Venetia, in la Stamparia di Aurelio Pincio Venetiano, 1535. In fol.
Di questo rarissimo libro sta un esemplare in Carta grande nella Marciana. Altro esemplare prezioso in Pergamena sta nella Librerìa della Famiglia Querini a Santa Maria Formosa, ed uno pure in Pergamena esisteva nella Biblioteca d'Harley e fu venduto a Londra nel 1749.
Nel fine della Prima Parte si legge: Le Assise de l'Alta Corte del Regno de Hierusalem et Cipro, tradotte de francese in lingua italiana d'ordene de la Serenissima Ducal Signorìa de Venetia, per me Florio Bustron, così comandato da li clarissimi Signori Rectori di questo Regno de Cypro, come nodaro de li Magnifici Deputati a la ditta traductione. L'ordine in fatti al Notajo Bustron di Cipro è stato dato con Ducale di Andrea Gritti del dì 3 di marzo 1531, al quale tempo appartiene la versione presente. E' divisa in due Parti, e sì dell'una che dell'altra si fece una ristampa ne' Volumi Secondo e Quinto della Raccolta: Leges Barbarorum ec. Venet, 1784, Vol. 5, in fol. Riporterò due Capitoli, uno tolto dalla Parte Prima, uno dalla Parte Seconda, perchè si conosca che il Notajo di Cipro assai meglio s'intendeva del Dialetto veneziano che della corretta lingua italiana, e perchè s'abbia almeno un'accennatura di quelle Leggi che i Crociati dettavano a' tempi delle loro conquiste in Oriente.
Parte prima, Cap. CXXV. Come i Cauaglieri deueno esser armati che combatteno per sassinamento etc.
Li Cauaglieri che combatteno per sassinamento o per homicidio, deueno combater a piedi et senza scuffia, et esser tosati a la rotonda, et uestiti de ueste uermiglie, o sopraueste, o camise de cendado uermiglio, curte fin al zenochio, et le maniche curte fino al brazzo; et hauer calce rosse de panno o de seda a coprirse et non più; et una targa che se chiama charazze, che sia più grande di lui mezo pie, ouer un palmo, in la quale habia do busi de comune grandeza, a cason chel possa ueder il suo aduersario per queli busi; et deue auer una lanza et due spade, l'una cinta che habia la fodra tagliata fino a le cenge et l'altra atachata al suo schudo, tal che la possa hauer quando sarà bisogno ec.
Parte seconda, Cap. cxix. La pena de colui che disponzela una uergine senza saputa de chi lha in gouerno.
Sel auien che un homo prende una uergine et la disponzela o per uolontà de la garzona o per simplicità, senza il consentimento di suo padre o madre o di coloro che lhano in custodia; sel padre o la madre o gli parenti che lhano in custodia uoleno hauer rason da colui che la disponzelata, et ello è di tal conditione che gli conuiene, la deue tuor per moglie; et se non uoleno et è homo che ha poder, la si diè far monaca, et tuto quel che la badessa dimanderà per acetarla et per uestirla, colui glel deue pagare, et oltra di ciò resta ne la mercè de Dio et del Signor de la tera obligato a quel che merita uno che comete uiolentia ne la tera daltri; et se tutto ciò non piace a li parenti de la garzona, o a colui che lha in custodia, o se colui non ha tanto chel possa far quanto hauemo dito de sopra; ouero se non è de la conditione che meriti la garzona, ma sia di pegiore et di mal afare, la rason comanda che a coluí, o sia cauaglier o borgese, o che si sia, deba esser tagliato el membro uitale et bandito fuor de la tera doue ha facto el mancamento per uno anno et per un giorno, et tutto el suo deue esser alarbitrio del Signor de la tera per dreto et per l'assisa.
4. Calmo, Andrea, Discorsi piacevoli et ingeniosi compresi in più Lettere ec. Venezia, pel Cesano, 1550, In 8.vo.
Un Libro solo dì queste Lettere erasi pubblicato in Venezia, Comin da Trino, 1540, in 8. S'impressero poi i Piacevoli et ingeniosi Discorsi in più Lettere compresi, e nella lingua antica volgare dechiariti; Venezia, Comin da Trino, 1547, e con un'Aggiunta impressa nel 1548, in 8.
Nella suddetta edizione dell'anno 1550 sono le Lettere divise in tre Libri, a' quali poi s'aggiunse il seguente che forma il Quarto Libro: Supplemento delle piacevoli ingegnose Lettere ec. di Andrea Calmo; Venezia, Stefano degli Alessi, 1552, in 8. E' necessario avvertire che di questi Libri si fecero varie ristampe, ma sotto diversi titoli. Sotto quello di Piacevoli et ingeniosi Discorsi ec. è altra edizione di Venezia, degli Alessi, 1554, in 8. E' intitolata Cheribizzi una stampa di Venezia, 1559, in 8. Col proprio nome di Lettere si trovano poi le meno antiche ristampe; e tale si è una di Venezia, 1563, in 8. in Libri tre; altra di Venezia, Pincio, 1572, in 8. in Libri quattro; altra di Trevigi, Zanetti, 1601, in.8.; ed altra pure di Venezia, 1610, in 8.
Andrea Calmo nacque in Venezia verso il 1510 da un barcajuolo, il quale volea avviarlo allo stato ecclesiastico, il che servì ad ottenergli una buona instituzione. Chiamato dall'indole sua a tutt'altra carriera, grandemente si distingueva nel canto, e passando poi al teatro, meravigliosamente riusciva nel personaggio di Pantalone. Accintosi a divenire scrittore nel patrio Dialetto pubblicò prima d'ogni altra cosa le presenti Lettere, che non mancano di sali, di arguzie e di lepori; ma 'l ciel ci guardi da quelle contenute nel quarto Libro, tutte d'argomento amoroso e indiritte a donne ideali. La Loro lettura è mera perdita di tempo, il che a ver dire non è delle antecedenti, le quali ci danno raccolta la familiare corrispondenza dal Calmo tenuta con Lodovico Dolce, con Paolo Giovio, con Girolamo Parabosco, con Pietro Aretino, con Jacopo Tintoretto, con Antonfrancesco Doni. Molte d'esse Lettere sono dirette a veneti patrizj, fra' quali v'ha Federico Badoer, ed una è scritta al gran Michelagnolo Buonarroti.
—— dello stesso, Rime Pescatorie ec. Venezia, Giovambatista Bertacagno, 1553. In 8.vo.
Non Rime Pescatorie, ma Canzoniere sarebbe il più acconcio titolo di queste Rime, poiché vi si leggono Sonetti, Stanze, Capitoli, Madrigali, Disperate, Canzoni, Epitafj d'argomento diverso da' pescatorj; e le Rime Pescatorie si confinano ad alquanti Capitoli. Havvi eziandio un Comento a due Sonetti del Petrarca, ed ogni cosa sempre dettata nel veneziano Dialetto. Meritò, ed ebbe questo Canzoniere varie ristampe. Sono a me note, una di Venezia, Sigismondo Bordogna, 1559, in 8.; altra di Venezia, 1561, in 8.; altra di Venezia, Ventura Salvador, 1583, in 8. col titolo: Le bizzarre faconde et ingeniose Rime ec.; ed una col titolo di Opere diverse di mess. Andrea Calmo; Trevigi, Fabrizio Zanetti, 1600, in 8.
—— Egloghe Pastorali. Venezia, per Giovambatista Bertacagno, 1553. In 8.vo.
Si trovano di queste Egloghe ristampe di Venezia, 1558, in 8; di Venezia, 1559, in 8; di Venezia, de Farri, 1561, in 8. Stanno pure nella sopraccitata raccolta di Opere diverse di Andrea Calmo; Trevigi, Zanetti, 1600, in 8.
Sono quattro allegre Egloghe, o a meglio dire quattro giocose Farse nelle quali diverse persone parlano in varj Dialetti. Non sono in terza rima sdrucciola composte, come appajono dall'andare che ad ogni tre versi fa l'Autore a capo, ma in verso sciolto, e possono dirsi un primo tentativo della pastorale drammatica; sicchè non a torto l'Allacci le registrò nella sua Drammaturgìa. Oltre al Dialetto veneziano havvi il rustico padovano, il bergamasco, e l'italiano corrotto da' Dalmatini.
Andrea Calmo fu autore eziandio delle Commedie che ora si registreranno, e delle quali era talvolta recitatore sì perfetto e mirabile che in una lettera scrittagli da Girolamo Parabosco nel Carnovale del 1548, in cui si congratula degli applausi che riceveva, si dice: Le genti montando le mura del loco dove sete, rompendo porte e passando canali, e d'alto smontando, si pongono a periglio di mille morti per poter solamente godere una sol ora la dolcezza delle vostre parole.
—— La Spagnolas, Commedia di Scarpella bergamasco ec. Vinegia, al segno di S. Mosè, 1549. In 8.vo.
Taluno prese equivoco giudicando uno Scarpella autore di questa Commedia, la quale, colla giunta d'un Proemio, si ristampò in Venezia, per Stefano degli Alessi, 1555, in 8. Si conoscono altre ristampe di Trevigi, Domenico Cavalcalupo, 1558, in 8.; di Venezia, 1561, in 8.; di Venezia, 1588, in 8, e di Trevigi, colle Opere diverse del Calmo, 1600, in 8. Graziosi Dialoghi vi sono, oltre al viniziano, anche nel dialetto rustico, nel bergamasco, e nel tedesco corrotto.
—— Il Saltuzza, Commedia. Vinegia, per Stefano degli Alessi, 1551. In 8.vo.
Una sola ristampa è a mia cognizione, fatta colle surriferite Opere diverse del Calmo; Trevigi, Zanetti, 1600, in 8. Male fecero alcuni Bibliografi scrivendo la Saltuzza in luogo di il Saltuzza, ricevendo la Commedia il suo titolo da un villano, il cui nome è Saltuzza, Anche in questa Commedia v'hanno personaggi che parlano in varj dialetti, ed è tutta dettata in prosa.
—— La Pozione, Commedia. Vinegia, per Stefano degli Alessi, 1552. In 8.vo.
V'hanno ristampe di Venezia, Domenico Farri, 1560, in 8; di Venezia, 1561, in 8; e colle Opere diverse del Calmo, Trevigi, 1600, in 8. N'è curioso il Prologo scritto colle storpiature del parlare de' Greci che frequentavano Venezia; ed è poi in quattro Atti, ognuno de' quali formato da una sola Scena.
—— Fiorina, Commedia. Venezia, per Stefano degli Alessi, 1552. In 8.vo.
Si conoscono ristampe di questa Commedia, ch'è in tre soli Atti in prosa, fatte in Venezia, 1553, in 8.; in Venezia, 1557, in 8; in Venezia, 1561, in 8.; in Venezia, 1565, in 8, e colle Opere diverse del Calmo in Trevigi, 1600, in 8.
—— La Rodiana. Commedia. Venezia, per Stefano degli Alessi, 1553. In 8.vo.
Si attribuì questa Commedia ad Angelo Beolco detto Ruzante, e si stampò parecchie volte ora sotto il nome del Calmo, ora sotto quello di Ruzante. V'hanno edizioni di Venezia, Domenico Farri, 1561, in 8.; Venezia, 1565, in 8.; Venezia, 1584, in 12.; Vicenza, 1584, in 12.;e Vicenza, 1598, in 8. Il Calmo nella dedicazione al conte Ottaviano Vimercato si lagna del plagio imputatogli, ed asserisce non solo essere sua, ma averla egli medesimo fatta per la prima volta rappresentare in Venezia nell’anno 1540, indi in Trevigi. Questa legittimità non gli venne contrastata dal Zeno, dall’Allacci e da’ migliori Bibliografi.
——Il Travaglia, Commedia. Venezia, per Stefano degli Alessi, 1556. In 8.vo.
Si ristampò in Venezia, Domenico Farri, 1561, in 8., e colle Opere diverse del Calmo in Trevigi, 1601, in 8.
Sono cinque Atti in prosa, e v’hanno personaggi diversi che parlano ne’ corrotti loro Dialetti: tali sono un mercadante raguseo, un pedante bergamasco, una greca ruffiana ec. Questa è la sesta ed ultima Commedia che si conosce del Calmo, il quale finì di vivere il dì 5 febbraro 1571.
5. Clario, Benedetto, Il primo Canto de Orlando Furioso in lingua venetiana. In Venetia, per Agustino Bindoni, 1554 In 8.vo.
Due differenti versioni in dialetto veneziano si hanno di questo primo Canto; la presente cioè, e quella fatta da Anonimo autore, che si legge nella Raccolta intitolata la Caravana, impressa l'anno 1575. Della versione del Clario ecco la prima Ottava:
Le fie, l'amor, i zovenoti armai,
Le cortesìe, el despiaser ve digo
Che fu in quel tempo che vene i soldai
In Franza a castigar el so nemigo;
Tuti vegniva con le spade a lai
Drio de Agramante, che giera un intrigo,
Per vendicar la morte da un de Troja
Che fu squartao per assassin dal boja.
Una versione fatta da Anonimo de' tre primi Canti del Furioso trovasi pure in lingua rustica padoana, e venne impressa in Venezia, per Egidio Regazzola, 1572, in 8. con dedicazione a monsignor Guido Antonio Trivisano, fatta dallo Stampatore Regazzola, il quale osservò che questa lingua rustica non ha da esser giudicata inferiore alla greca e alla latina, perchè ha le sue parole proprie a tutte le cose significative, numerose, tonde, sonore, e fino quasi tutte le stesse lettere che hanno quelle due; le desinenze, se sono in vocali, la fanno simile alla toscana ch'è tanto soave e delicata; se in consonanti, la fanno corrispondere alla greca e alla latina, che sono tanto illustri e celebri. Non dispiacerà di udire la prima Stanza anche di questa versione contadinesca:
Le femene, i cavaggi armè, gi amuori,
I piasere e bagurdi a vuo' cantare:
Que è stò a quel tempo quando i Turchi e i Muori
Trar frezze in Franza vene oltra del mare
Per annar drio la rebba, e batticuori
De Ragomante, que hea zurò so pare
D'inzuriar la morte d'un Trogian
Que fò squartò, e pò magnò da i can.
Nelle Giunte alla Bibliografia de' Romanzi ec. Milano, 1831, in 8. (p. 373) si registra il seguente libro: Le Semplicità over Goferìe de' Cavalieri Erranti contenute nel Furioso: Et raccolte tutte per ordine per Bartolomeo Horiuolo Triuigiano et descritte per lui in lingua di contado. (senz'alcuna data, ma dal 1560 al 1580) in 8. carattere corsivo. Non conoscendo io quest'opera, non so che cosa per lingua di contado si debba intendere.
6. Beolco, Angelo, detto il Ruzante, Commedie. Venezia, Gio. Bonadio, 1565. in 8.vo.
Eransi prima molte volte separatamente impresse e pubblicate queste Commedie, e dopo la edizione suddetta si ristamparono unitamente ad Orazioni, Lettere e Dialoghi in lingua rustica in Vicenza, Giorgio Greco, 1584, in 8, ed altra volte ancora.
Degli Scrittori in dialetto rustico non è mio scopo di fare registro, ma siccome in quasi tutte le famigerate Commedie di Ruzante si trovano introdotti Interlocutori che parlano altri Dialetti, e specialmente il veneziano, così non ho voluto ommettere di qui indicarle, e di registrare eziandio qualche altro drammatico Componimento in cui il Dialetto veneziano è introdotto, come sono i seguenti:
Gl'Intricati, Favola pastorale di Alvise Pasqualigo. Venezia, Francesco Ziletti, 1551. In 8.vo.
"Quest'Opera fu dall'Autore composta mentre si trorava in reggimento a Zara, come si scrive nella dedicatoria al conte Pietro Porto; ma non so per quale motivo il frontispizio si trovi in quasi tutte le copie lacerato. Il componimento è di suo fondo una Pastorale, e nella Quarta Scena dell'Atto Quarto v'ha un Eco; ma ad ogni modo v'è introdotto un Graziano che parla il dialetto bolognese, un Calabaza spagnuolo che parla la materna sua lingua, e altre cose comiche vi si fanno. Il verso è endecasillabo scielto, e dove l'Autore parla in sul grave, parla assai bene" (Quadrio)
Opera nuova, nella quale si contiene il Maridazzo della bella Brunettina, sorella di Zan Tabari Canaja de Val Pelosa, e una Villanella Napolitana in Dialogo, con un Sonetto sopra l'Agio (Aglio) ec. In Verona, per Bastiano e Giovanni dalle Donne. Ristampata in Brescia, 1582. In 8.vo.
"Opera primariamente in lingua bergamasca tessuta, ma vi sono poi introdotti dentro i linguaggi francese, spagnuolo, napolitano, romano, fiorentino, bolognese, mantovano e veneziano" (Quadrio).
Aurora, Favola pastorale di Ottavio Brescianini Bresciano, detto il Chimerico. Padova, Lorenzo Pasquati, 1588. In 8.vo.
"Il Prologo di questa Commedia è in nome di un Dottore bergamasco che parla il suo dialetto, come pure fa Zamberlino personaggio della Favola, ed altro personaggio introdottovi col nome di Grettolo veneziano, che pure parla nel dialetto suo. Tutta la Favola è in cinque Atti in terza rima, con i Cori, ed è dall'Autore dedicata al celebre Giureconsulto padovano Marco Mantova.” (Mazzuchelli).)
Il Tradimento Amoroso, Comedia nova non meno piacevole che ridiculosa di Biagio Maggi; Padova, Bolzetta, 1604. In 8.vo.
In questa Commedia, la cui scena è in Padova, e padovano n'è l'autore, sono introdotti due Bari che usano del loro gergo, ed altri personaggi che parlano nel dialetto veneziano, nel rustico padovano ec.
I falsi Dei, Favola pastorale piacevolissima di Ercole Cimilotti Estuante, Accademico Inquieto. Pavia, Giambatt. Rossi, 1619, in 12.mo); e Venezia, Alessandro de Vecchj, 1630. In 12.mo.
”Amendue queste edizioni tono ristampe di questa veramente lepida Favola, dove sono introdotti il Pantalone, il Burattino, il Graziano, il Zanni ec. È in verso sciolto di undici sillabe, ma di tre soli Atti. In breve è un guazzabuglio” (Quadrio).
Il Caprìccio, Favola boschereccia di Giacomo Guidozzo da Castel Franco, nuovamente data in luce da Lodovico Riccato da Castel Franco. Venezia, Giacomo Vincenti, 1610, in 8.vo; e ivi, Alessandro Vincenti, 1621. In 8.vo.
”È in verso, e fra gl'Interlocutori ha un Burattino che parla il bergamasco, il Graziano che parla bolognese, il Tedesco che parla mezzo italiano, e 'l Magnifico che parla il veneziano” (Quadrio)
Il Scacciasonno di Camillo Scaligeri; Bologna, Magnani, 1623. In 8.vo.
Sta in questo libro una Commedia in cui sono introdotti, oltre al veneziano, varj altri Dialetti. Anche nell'Opera di quest'autore: I Trastulii delia villa distinti in sette giornate ec. Bologna, Mascheroni, 1627, in 8., ristampata l'anno stesso in Venezia, Giuliani, 1627, in 8, sono alcune Novelle nelle quali stanno i dialetti bolognese, bergamasco, veneziano, ed il parlare figurato della sbirraglia. Intorno a questo parlar figurato conosco il seguente libro: Modo novo da intendere la lingua zerga, cioè Parlar furbesco. Di nuovo ristampato ec. In Venetia et in Bassano, Gio. Antonio Remondini, s. an. (Sec. xvii) in 8. Un Dialogo in versi scritto in furbesco tra Scatarello e Campagnolo assassini da strada sta nelle Opere di Bartolommeo Bocchini, Modena, 1665, in 12. c. 270.
Notò il Quadrio (Volg. Poesie T. V. c. 214): ”Che pel Teatro della Scala in Milano, in una cinquantesima bozza di Rappresentazioni fattevi nel XVI secolo, leggonsi fra gli attori un Graziano dottore, un Capitano Spavento, un Cavicchio paesano, un Pantalone, un Burattino, un Pedrolino ed altri, dove si veggono già introdotti gli Attori mascherati dell'odierno teatro, de' quali uno parla il veneziano, l'altro il bolognese, e li due Zanni, Arlecchino e Scapino, il bergamasco”.
7. Molino, Antonio, I fatti e le Prodezze di Manoli Blessi Strathioto. In Venezia, Giolito, 1561, In 4.to.
Questo Poema, in cui si cantano le prodezze di un Capitano Dalmatino (Strathioto, dal greco Stratiotes, cioè capitano degli eserciti), fu da Lodovico Dolce dedicato a Giacomo Contarino in data di Venezia 13 di novembre 1661. scrivendo: ”Che messer Antonio Molino detto il Burchiella, ne' più maturi anni dandosi alla mercanzia, andò in più parti del Levante, onde avvenne che, per non istare ozioso, in Corfù e in Candia cominciò a esercitarsi in recitar Commedie; di donde ritornato, insieme con frate Armonio e con suoi compagni, levò un'Accademia di Musica, la quale era gratissima a tutta la città. Onde per più stabilir la detta Accademia volle mostrare quanto in rappresentar esse Commedie valesse. E fu il primo che le mutò in più lingue, nelle quali divenne così chiaro, che oltre alla lingua comune italiana, contraffacendo la greca e la bergamasca, passò in quelle così avanti ch'egli meritamente si può chiamare il Roscio della nostra età. Quando è stato fama che la sua persona intervenisse in alcuna Commedia, è stato tanto il concorso di ciascuna qualità di persone che a pena vi potevano capere. Ora, quantunque egli sia così raro nel recitare, non è che altrettanto, e più, non si sia dimostro nello scrivere; onde spesso si son veduti de' suoi versi nell'una e nell'altra di queste due lingue di tanta perfezione che possono contendere col Bembo e col Petrarca. Veggendo egli dunque in quanta stima sia l'opera dell'Ariosto, gli cadde nell'animo di fare ancora egli un Poema piacevole nella greca volgare ad imitazione di esso Ariosto, nel quale Poema, sotto la piacevolezza che move a ridere, sì contenessero però sensi gravi e allegorici.” Così Comincia il Poema:
Le Rinaldesche e l'Urlandesche prove
Del BLESSI Cavalier trombizo e canto
Chie ha fato per paura a Marte e Giove
Cagar su l'arme et imbratar la manto,
Se cun l'Apollo le Surelle nove
Mandarà in mio cardio (cuore) soccurso tanto,
Chiel possa dir cui stil strathiotesco
Canto cul mio cervel cantando pesco.
Rime in dialetto veneziano di questo stesso Molin si leggono nel Codice della Marciana (Classe ix, Cod. clxxiii tra gl'Italiani).
——— dello stesso: Barzeleta de quattro Compagni Strathioti de Albanìa, zuradi de andar per il mondo alla ventura, capo di loro Manoli Blessi da Napoli di Romania. In Venetia, 1570. In 8.vo.
In quest'Opuscolo, ch'è di car. 20, l'ultima delle quali bianca, il Molino sotto nome di Manoli Blessi descrive un suo viaggio fatto in Moscovia e 'l suo ritorno per la Polonia. Giunto in Tirolo prese la via di Trento e si restituì per Bassano a Venezia. L'Autore nel dedicare questo Poemetto a Gio. Francesco Ottobon Cancellier Grande della Signorìa di Venezia dice d'averlo composto in lingua gresesca talianaa.
——— dello stesso, Manoli Blessi sopra la presa de Margaritin. Con un dialogo piacevole di un Greco et di un Fachino. In Venetia, Andrea Muschio, 1571. In 4.to.
Raro Opuscoletto di 4 sole carte, in cui il Greco parla il suo corrotto dialetto, ed il Facchino parla il bergamasco.
Avendo qui registrate le Poesie che Antonio Molino veneziano pubblicò nel corrotto linguaggio grechesco-veneto, è opportuno il notare che anche prima del Molino altri due Poemetti scritti in un dialetto parlato in Venezia da' Dalmatini e dagli Schiavoni s'erano pubblicati colle stampe; cioè:
Libero (libro) del Rado stizuso. Stampato in Venetia per maistro Bernardino de Vitali Venetiano MDXXXIII In 4. figur.
Libero (Libro) de le uendete che fese i fioli de Rado Stixoso ec. In 4. Nell'ultima Carta del primo Poemetto si leggono versi latino-italiani in lode d'un Ioannes paulauichius; e nel frontispizio del secondo Poemetto sono rappresentati i figli di Rado stizzoso in una figura in legno. Si trovano ricordati e descritti questi rari Libri nella Bibliografia de' Romanzi ec. Milano, 1829, in 8., c. 221, e Giunte alla medesima c. 397.
8. Caravia, Alessandro, Naspo bizaro. In Venezia, per Domenico Nicolino, 1565. In 4. fig.
Prima ed assai rara edizione fornita di figure in rame ad ogni Canto. Comprende quattro Canti, l'ultimo de' quali ha un'antiporta figurata, in cui è scritto: El fin de l'inamoramento de Naspo bizaro, el qual per viver da Christian batizao sposa con alegreza Catebionda Biriota. Si fece ben presto di questa edizione una ristampa: In Venezia, per Piero de Domenego in contrà de Santo Apolinar, a la libreria de la Pigna, senz'anno, in 4. con figure di legno, nella quale ristampa si aggiunse un Capitolo in terza rima, contenente El Lamento che fa Naspo bizaro per averse pentio de aver sposao Catebionda. Ristampe di questa edizione si fecero posteriormente in Venezia, ed havvene anche una di Trevigi, 1612, in. 12.
Ha i suoi lepori e i suoi sali questo Poemetto. Naspo Castellano, cioè del Sestiere di Castello, essendo stato maltrattato in amore da Cate Biriota, cioè della Contrada di Birri in Venezia, ne' travagli della gelosìa indirizza alla crudel sua nemica quattro interi Canti, co' quali in fine si raccomanda onde ottener compassione e corrispondenza. La ottiene, e diventa suo sposo. Naspo nel Canto Primo così comincia a rimproverar Cate:
Ingrata, senza fe, piena de ingani,
Credeva calche tempo ti me amassi,
Che calche volta ho visto amarse i cani;
Ma in darno ho perso el tempo, ho perso i passi
Con tante mie fadighe e tanti afani.
Adesso fuor del porto ti me lassi
Travagiao da fortuna e da tempesta
E a la bonazza ti vardi la festa.
Naspo è anche qualche volta sentenzioso, e mostra buon senno. Ecco un'ottava che si legge nel Canto Quarto:
Natura ghe ne incalma de ogni sorte
Con varj visi e bizari cerveļi ;
Chi nasse venturao, chi ha trista sorte
Co piase a chi governa el mondo e i cieli;
Quei che no stima per l'amor la morte.
Richi se pol chiamar graziosi e beli,
Chi xè vilani incalmai da natura
Sarà poltroni in fina in sepoltura.
Alessandro Caravia pubblicò colle stampe anche un Poemetto intitolato il Sogno; Venezia, Nicolini da Sabbio, 1541, in 4, ma non è scritto nel veneziano Dialetto.
9. Componimenti Poetici per da Vittoria navale riportata dai Veneziani sugli Ottomani l'Anno 1571.
Oltre a' non pochi Componimenti che nella corretta lingua italiana si scrissero e si pubblicarono separatamente (e de' quali doviziosa Raccolta sta nella Marciana), alcuni se ne trovano scritti ne' dialetti bergamasco, friulano, grechesco, rustico padovano, rustico veronese ec. de' quali non è qui luogo di far ricordo, ristrignendomi a quelli che nel Dialetto veneziano furono composti, e che per la molta loro rarità non possono essere comunemente noti. Tali sono i seguenti:
Pianto et Lamento de Selin Drian Imperador de Turchi, e la Rotta et destruttion della so' Armada. Con una Esortation fatta a Occhialì. In Venezia, appresso Andrea Muschio, 1571, in 4. Opuscolo di car. 4. Sono due Componimenti in terzine.
Zolante de Monelo che canzona le so valentisie fate contra l'Armada turchesca. In Venezia, s. an. In 4. Opuscolo di car. 4. Sono alquante Stanze in ottava rima.
Capitolo de la Academia de Altin, ditta la Sgionfa, corretto per il Zenzego Dottor e Legislator Ponciotto, sora la Vittoria Cristiana. Senz'alcuna data. In 4. Opuscolo di car. 4.
Nuova Canzone a Selin Imperator dei Turchi in lingua venetiana. In Venezia, 1572, in 4. Opuscolo di car. 4.
Herculana di Giambatista Maganza in lingua venetiana, nella vittoria dell'Armata Cristiana contra Turchi. In Venezia, 1571, in 4. Opuscolo di car. 6.
A questa lunga Canzone è posto il nome di Erculana perchè si cantano imprese degli Ercoli veneziani contra i Turchi, ed è scritta in singolar metro. Così comincia:
Se i scritori d'Atene, e quei de Roma
Sempre che i ha vogiù
Scriver, i ha scrito in tel proprio idioma,
Femo prova anca nu
Se un dei cocali — de sti canali
Pol imitar — se no el cantar,
El svolo almanco — d'un cigno bianco
Che sia nassù su l'Arno o sora el Po, ec.
Fra le molte Opere scritte in lingua rustica dal valente pittore e poeta Giambatista Maganza, e ricordate da’ suoi bibliografi, non trovando io registrate le due seguenti che si conservano nella Marciana, piacemi qui indicarle: Frotola de Magagnò per laldare le bele man de la Signora Laura da Rio. Al so caro Segnor Paron el Clar. Segnor Loise Smozzanigo el Fituorico. Senz'alcuna data. In 4. Opuscolo di car. 4. — El Rusignuolo de Magagnò. Al so Segnor Paron, el Segnor .... (sic). Senz'alcuna data, in 4. Opuscolo di car. 4.
Troppo lunga e poco util fatica sarebbe quella d'indagare nelle Raccolte di Poesie del Secolo xvi, e de' successivi, le Canzoni, i Capitoli, i Sonetti che furono impressi per occasioni di feste pubbliche, di monacazioni, di nozze, di partenze da' reggimenti de' Podestà, ed altre scritte o nel Dialetto veneziano, o nel bergamasco, o ne' rustici dialetti del veronese, del padovano, del vicentino, del feltrino ec. Non picciola suppellettile se ne trova nella Marciaṇa.
10. La Caravana, Rime piasevoli di diversi Autori nuovamente raccolte da mess. Modesto Pino, Parte Prima. In Venetia, per Sigismondo Borgogna, 1573. In 8.vo.
Questa Prima Parte, e sola pubblicata, ebbe le seguenti ristampe: In Venezia, per Domenico Farri, 1576, in 8.; ivi, per Altobello Salicato, 1580, in 12; ivi, per Domenico Imberti, 1609, in 12; e in Trevigi, per Angelo Reghettini, 1612, in 12.
Modesto Pino scrive nel Proemio, che i Componimenti appartengono a diversi Autori; e sono Sonetti, Disperate, Canzoni, Mattinate, Capitoli, scritti nella maggior parte con molta grazia e buon gusto, sì che n'ebbe questa Raccolta elogio anche dall'Aldeano (Nicola Villani) nel suo dottissimo Ragionamento della Poesia giocosa, stampato in Venezia, 1634; in 4. Precede ad ogni altro Componimento il primo Canto dell'Ariosto ridotto al veneziano Dialetto, di cui trascrivo la prima Stanza, come a suo luogo ho fatto di quella, pure in dialetto voltata l'anno 1554 da Benedetto Clario.
Le giorle, i drudi, le zufe e i martei
I favori d'Amor, le berte canto
Ch'acoscò al tempo che quei martorei
Dei Mori in Fransa fè cussì gran pianto,
Infrisai da promesse e da martei
Che ghe dete el so re sior Agramanto,
Desideroso de fare la vendeta
De so pare che in Franza avè la streta.
11. Veniero, Maffeo, Rime. Venezia, per il Bresciano, 1613. In 12.mo.
Stanno nella presente Edizione impresse queste Rime unitamente a quelle di Angelo Inzegneri, pure scritte in Dialetto veneziano. Una scelta delle medesime venne da me inserita nel Vol. Secondo della Collezione de' Poeti antichi in dialetto veneziano. Ven. 1817, in 16, dove ho eziandio date le notizie del valentissimo Autore, nato in Venezia l'anno 1550, ma che visse soli 56 anni. Apostolo Zeno ha potuto avere sott'occhio testi a penna copiosi di Componimenti del Veniero sì in italiano che in veneziano, e molti se ne possono leggere anche oggidì MSS. in un Codice della Marciana (Classe ix. Cod. clxxiii fra gl'Italiani) tra' quali assai licenziosi sono quelli scritti nel nostro dialetto. In questo Codice, scritto per la maggior parte da un Gio. Quirini qu. Vicenzo al fine del xvi e al principio del xvii secolo, stanno moltissime Poesie Veneziane sì dello stesso Quirini, che di altri Autori, de' quali per lo più si dà il solo cognome, e sono un Corner, un Marcello, un Morosini, un Anzolo Tron ec. Alcune poesie in vernacolo ivi diconsi tratte da libri a stampa che hanno i titoli: Trofeo di Rime volgari ec. — Regalia della Stamparia de Vicenza. Di queste opere a me non è riuscito di trovare indizio nė di anno nè di luogo dell'impressione.
La parodia che il Veniero fece d'una delle più celebri Canzoni del Petrarca colla sua Canzone la Strazzosa, si pubblicò varie volte, e 'l Quadrio ricorda un'ediz. di Pavia, Eredi Bartoli, 1595, in 8. Le edizioni da me vedute furono sì fattamente scorrette da renderne spesso imbrogliato il senso, e tale riuscì anche nella ristampa da me fattane nella Collezione sopraccitata. Di lezione infinitamente migliore essendomi riuscito di trovare essa Canzone in un Codice della Marciana (Cod. ciii, Classe vii. fra gl'Italiani) sono ben contento di poterla riprodurre qui di gran lunga migliorata:
Amor, vivemo tra la gata e i stizzi
In t'una Cà a pe pian
(E no vedo però che ti te agrizzi)
Dove e la lume e 'l pan
Stà tuto in t'un, la roca, i drapi e'l vin,
La vechia e le fassine,
I puti e le galine,
E mezo el cavezzal soto el camin,
Dove, tacà a un anzin
Gh'è, in muodo de trofeo,
La fersora, una scufia e la graela,
La zuca da l'asèo,
El cesto e la sportèla;
E 'l leto fato d'alega e de stopa;
Cussì avalio che i pulesi se intopa.
In pe d'un papagà se arlieva un'oca,
In pe d'un cagnoleto
Gh'è un porcheto zentil che basa in boca,
Vezzoso animaleto,
Soave compagnia, dolce concerto!
L'oca, la gata, e tuti,
La vechia, el porco, i puti
Le galine, el mi' amor sot'un coverto,
Ma in cento parte averto,
Onde la Luna e 'l Sol
Fa tanto pi' la casa aliegra e chiara
Come soto un storiol
Sconde Fortuna avara
Una zogia, una perla in le scoazze,
Un'estrema belezza in molte strazze.
El concolo del pan stropa un balcon
Che no ha scuri nè veri,
Magna in pugno ciascun co' fa el falcon
Senza tola o tagieri;
Stà la famegia intorno a la pignata
A aspetar che sia coto;
Ognun beve in t'un goto,
E tuti sguazza a un bezzo de salata.
Vita vera e beata!
Un linzuol fà per sie
Che da un di a l'altro è marizà dal fumo;
Man, teste, brazza e pie
Stà in t'un, tuti in t'un grumo,
Onde se vede un ordene a grotesche
De persone, de bestie e de baltresche.
In Casa chi xe in camera xe in sala,
Chi è in sala è in magazen,
Gh'è nome un leto in t'una sotoscala
Dove in brazzo al mio ben
Passo le note de dolcezza piene;
Seben la pioza e 'l vento
Ne vien talvolta drento
A rinfrescar l'amor su per le rene.
Note care e serene!
Caro liogo amoroso!
Beltà celeste in povera schiavina!
Togia un leto pomposo
Chi ha drento una Gabrina,
Chè fa in lù quel'efeto un viso d'orca
Che in bela cheba una gazola sporca.
In sta Cà benedeta e luminosa
Vive poveramente
Sta mia cara d'amor bela Strazzosa;
Strazzosa ricamente,
Chè con pì' strazze e manco drapi intorno
Pi' se descovre i bianchi
E verzeladi fianchi,
Com'è pi' bel co' manco niole el zorno.
Abito tuto adorno
Sora perle e rubini;
Sora beltà che supera ciascuna!
Qual se fra do' camini
Se imbavara la Luna
Che luza in mezo, tal splende la fazza
E i razi de custia fra strazza e strazza.
A sta beltà ste strazze ġhe bisogna,
Chè no se diè stroparla,
S'ha da covrir de drapi una carogna
Che stomega a vardarla,
Ma quela vita in st'abito resplende
Senza industria e senz'arte,
Mazenga in ogni parte,
Che nè lussi, nè veli el belo ofende.
Carne bianche e stupende
Al ciel nude e scoverte!
Per pompa de natura, poverete,
Andè a sto muodo averte
O colo o spale o tete,
Chè no se tagia un guanto ov'è l'anelo
Se no perchè è pì' bel questo de quelo.
Che drapi poria mai, se i fusse d'oro,
Covrir sì bei colori
Che no i fusse un leame in t'un tesoro,
Un fango sora i fiori?
Va pur cussì, che sta umiltà te inalza;
Va, povereta! altiera
Cussì co i pie per tera,
Chè ti è pi bela quanto pì' descalza.
Com'el Ciel me strabalza
A una belezza estrema
In t'una casa che no gh'è do squele!
Providenza suprema
Del Cielo e de le Stele,
Che xe andà a catar fuora do despersi
Per unir le so' strazze co i mi versi!
Strazze mie care, onde ho revolto el cuor,
Dolce strazze amorose,
Finestre de la grazia, ochi de amor,
Strazze fodrae de riose,
Chè se vede spontar tra lista e lista
Fuora da quei sbregoni
Quatro dea de galani
Che traze lampi che me tiol la vista!
Fia mia, chi no te ha vista
Xe un omo mezo vivo;
Chi te vede e no muor xe un zoco morto;
E mi, che te descrivo,
So che te fazzo torto,
Che te tanso la gloria e te defraudo,
E te stronzo l'onor pì' che te laudo.
Podess'io pur, con darte la mia vita,
Trovar pì' lengue a usura,
Chè la mia sola a una beltà infinita
Xe picòla mesura!
So che no digo gnente a quel che lasso,
Ma quel puoco che intendo
El mesuro, el comprendo
Co' se mesura el Ciel con un compasso.
In sta belezza passo
La mia vita contenta,
E trovo salda fede in veste rote;
Mi no ho chi me tormenta
Nè el zorno nè la note;
Ghe xè un voler e un'anema in do peti,
Cosse che ghe n'è puoche in molti leti.
Cerchè, Done, d'aver laghi de pianti,
Refoli de sospiri,
E sempre avanti eserciti de amanti;
Formè niovi martiri,
Nudrive cento diavoli in t'i ochi
Che tenta i cuor contriti;
Cerchè che mile afliti
Ve se vegna a butar morti in zenochi:
Amor, sti me infenochi
Mai pì', frizeme alora,
Che te parechio la farina e l'ogio.
Questa è la mi' Signora,
La me vuol, mi la vogio;
No gh'è qua da arabiar nè da istizzarme;
Chi vol guera d'amor se meta in arme.
Canzon mia repezzà,
Sti è per sorte represa, e ti reprendi
Chi te reprenderà;
Mostra che ti la intendi,
E dì', che sti no ha drapi de veluo,
Che quel ch'è Dio d'Amor va sempre nuo.
12. Belando, Vicenzo, detto Cataldo, Lettere facete e chiribizzose ec. In Parigi, appresso Abel l'Angelieri, 1588. In 12.mo.
Il contenuto di questo rarissimo libricciuolo è annunziato nel frontispizio così: Lettere facete e chiribizzose in lengua antica venitiana, et una a la Gratiana, con alcuni Sonetti e Canzoni piasevoli venitiani e toscani, e nel fin trenta Villanelle a diversi Signori e Donne Lucchesi et altri. El tutto composto e dao in luse da Vincenzo Belando sic. dicto Cataldo. Sono le Lettere in prosa vernacola indirizzate a varj personaggi di Francia e d'Italia, come lo sono pure alcuni Sonetti con la coda che stanno impressi al fine d'ogni Lettera, ed altri Componimenti ora in dialetto ora in toscano co' quali si compie il volume. È da meravigliarsi come s'abbia a leggere nell'ultima carta un Privilegio del Re del giorno 27 febbrajo 1588 per la stampa di questo libro sì zeppo di porcherie da potersi accoppiare alle nefandità pubblicate dal Franco e dall'Aretino. Il Mazzuchelli registrò quest'opera, ed inoltre un Dramma del Solando intitolato: Gli amorosi inganni; Parigi, per David Gilio, 1609, in 12, nel quale Dramma, dopo il nome dell'Autore, aggiugne: soprannomato Cataldo Siciliano. La parola Siciliano non leggesi nella stampa delle Lettere suddette, dove spesso è ripetuto Cataldo soltanto; bensì la dedicazione di esse a Sebastiano Rametti ha la Sottoscrizione così: Vincenzo Belando Sic. detto Cataldo.
- Note
- ↑ “L'Autore del libretto intitolato l'Avvocato, stampato del 1554, ed anche del 1586, del quale il celebre Marco Foscarini, alla Nota 54 del primo libro della Letter. Veneziana stabilisce autore Francesco Sansovino, nomina fra gli altri nostri celebri forensi oratori di quel tempo Camillo Trevisano, e Dionisio Contarini di cui io serbo qualche memoria particolare”. (V. Elogio di Cesare Santonini scritto da Giuseppe Fossati. Ven. 1794, in 8. vo; e sua Lettera al Bettinelli dell'Oratore scrivente e dell'Estemporaneo, Venezia, 1789, in 8. vo. Sappiamo da' biografi di Giovan Giorgio Trissino, che fra le sue scritture rimaste inedite havvi un'Aringa in dialetto recitata verso il 1530 nel Consiglio de' xl, e da quelli di Sperone Speroni che perorò egli pure in Venezia con Aringhe tanto eloquenti da poter salvare la vita ad un suo Congiunto. Avvertasi però che alcuni vogliono che quelle dello Speroni fossero dette in corretto italiano.