Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano/Scritti del secolo XVIII
1832
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Bartolommeo Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, compilata ed illustrata da Bartolommeo Gamba, giuntevi alcune odi di Orazio tradotte da Pietro Bussolin, Venezia, dalla tipografia di Alvisopoli, 1832 |
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Può questa nostra illustre terra italiana andare fastosa di que' suoi non pochi scrittori che valsero a mantenere in celebrità il decimottavo Secolo; e se vogliam confinarci all'arte de' Ritmi, a quella della Drammatica ed a quella della Eloquenza, potremo ricordare pur anche il nome di Autori veneziani che lasciarono tali scritti dettati nel soave loro dialetto da rendersene cara e fruttuosa la lettura sino presso gli estranei.
È gran peccato che siasi rivoltolato sempre fra le più stomacose lascivie un Giorgio Baffo, cui non mancano le doti di valente ed inspirato poeta. Il Ditirambo El vin Friularo di Andrea Pastò può mettersi in gara col Bacco in Toscana del Redi. Tra' poeti bisbetici, acri e satìrici vuolsi dar plauso ad Angelo Maria Barbaro, e ad Angelo Maria Labia. Lavori d'attica legiadrìa furono alcune Canzonette di Marc'Antonio Zorzi e i Cavei de Nina di Giacomo Mazzolà, senza nominare qui le Poesìe d'un Gritti e d'un Lamberti, de' quali scrittori si farà menzione nel secolo susseguente. Opera di lunga lena e di merito non comune fu la versione fatta dal veneziano Giuseppe Pichi dell'acclamato Poema intitolato Bertoldo, Bertoldino e Cacasseno, che si pubblicò in Bologna, l'anno 1736; e non meno lo fu la capricciosa versione di Francesco Boaretti della Iliade di Omero, versione in cui volle l'Autore adottato quel vernacolo che piacere potesse tanto nella dominante quanto nelle città adiacenti, con avvertire ch'egli ebbe in veduta di dare all'opera sua quel tal carattere di prima natura che bene si attaglia al principe de' Poeti.
Sogliono avere anche i Dialetti nazionali i particolari loro linguaggi, altro usandosene tra la gente culta, altro tra 'l volgo, nè va senza merito chi internandosi sino ne' tugurii e ne' camperecci bovili vale ad apprestare al minuto popolo quel pascolo che ad un tempo diverte e mira alla correzione de' costumi; perciò non vuolsi lasciare in dimenticanza il nome di Giovanni Pozzobon, detto lo Schieson Trevisan, che ebbe poi ed ha anche oggidì imitatori.
Nell'arte drammatica basta ricordare il nome di Carlo Goldoni perchè si risvegli ne' Veneziani la compiacenza d'aver essi dato all'Italia tale pittore della natura che venne coll'universale consenso acclamato Principe della Commedia Italiana. A lui dobbiamo particolarmente la soddisfazione di vedere accarezzato il nostro dialetto in ogni altra contrada. Carlo Gozzi, antagonista del Goldoni, per tenere popolosi i teatri colle sue Fiabe, non le lasciò quasi mai digiune di un personaggio esprimente i sali e i frizzi del vernacolo veneziano. Si troveranno eziandio da me registrate alcune altre poche Composizioni drammatiche che non appartenendo ad autori della fama di un Goldoni e di un Gozzi non si meritavano per questo di restare in assoluta dimenticanza.
Mi resta a dire degli eloquenti Aringhi ne' Magistratì, che tanta fama procacciarono a questa Capitale della veneziana Repubblica. Ricorderò a suo luogo i pochi frammenti che ci rimangono a stampa di Orazioni estemporanee dette da' patrizj in quelle assemblee; e se conservato si fosse buon numero delle dispute di un Foscarini, di un Marcello, di un Zen, di un Contarini, di un Foscari e di altri non pochi, si vedrebbe che potean eglino talvolta aspirare alla rinomanza de' Pericli e de' Tullii. Nè saprei staccarmi da questo argomento senza qui riportare, siccome a saggio di eloquenza nobile, coraggiosa ed inspirata da circostanza impreveduta, un solo tratto narratomi dal rispettabile mio amico Prof. Angelo Zendrini. Alvise Emo, fratello di Angelo Emo, ultimo e celebre Ammiraglio della Repubblica, era uomo di alto sentire e di tenace proposito, ma ad un tempo di austero se non cinico aspetto. Trattavasi l'anno 1762 nel Maggior Consiglio di Venezia se si dovesse conservare nella Repubblica il Tribunale degl'Inquisitori di Stato, in difesa del quale egli salito era in bigoncia. Con una parrucca mezzo rabbaruffata che non ti parea punto disgiunta da un gran pajo di sopracciglia folte e rilevate, avrebbe forse potuto movere al riso; e già mentre con franco e libero ardire e' si accigneva a parlare, ecco un generale bisbiglio ed uno scalpicìo continuato che vengono ad assalirlo, nè gli lasciano mover parola. Egli non s'agita, imperterrito non muta luogo, che anzi fisa sdegnoso gli occhi sulla popolosa turba de' suoi concittadini, la quale, vergognando quasi, si ricompone a silenzio. Come può scorgere sì indecente commozione calmata, prorompe l'Emo in queste parole: A mi xe indiferente el parlar o el descender de sta bigonza; ma ben me maravegio de ele, che nel zorno che le xè qua chiamae per stabilir i fondamenti de la libertà de la patria, le vogia fiscar la facoltà de parlar a un citadin che no cerca onori, che no cura le lodi, che disprezza i biasimi, e che passegia sora tute ste inezie.
Anche nella eloquenza estemporanea del Foro avvocati furono in Venezia da non temere il conflitto di chi che siasi. Ebbero fama un Contarini, uno Steffani per impeto e ragionata deduzione degli argomenti, un Santonini per evidenza di dimostrazione, un Cordellina per robustezza di disegno, per colorito pittoresco e per arte di declamazione. Sul merito di questi valentuomìni voglion essere letti e considerati i giudizj d'un Sibiliato, d'un Cesarotti; e chi più distesa istruzione bramasse ricorra al Saggio sopra Thomas di Marco Piazza, alle Operette varie pubblicate da Giuseppe Fossati, alla bella Allocuzione da Girolamo Trevisan pronunziata in Venezia nel novembre 1811 quand'era Regio Procurator Generale presso la Corte di Appello. Intorno a Tommaso Gallino molto scrisse, ma non ancora pubblicò, l'egregio Pietro Biagi, Avvocato che tuttavia abbella il veneto foro.
1. Bagozzi, Santo, La Bagozzeide, o sia: Cento fredure de quel che de Parnaso neta i Pozzi — Poeta natural Santo Bagozzi. In Venezia, Giuseppe Bettinelli, 1733. In 12.mo.
„Chi leggerà queste curiose bizzarrie se non vi troverà buona forma di parlare, certamente vi ammirerà una gran facilità naturale di verseggiare; ed in queste Cento freddure dedicate a Sua Eccellenza Alvise Pisani Kav. e Procuratore di S. Marco, conoscerà essere sparsi moltissimi sali, e molto arguti e giudiziosi sentimenti” (Novelle Letter. di Venezia, anno 1735, c. 297).
2. Lagrime in morte d'un Gatto ec. Mil., Marelli, 1741. In 12.
In questa briosa Raccolta fatta da Domenico Balestrieri, e che non ha punto d'invidia a quelle di Rime burlesche del secolo XVI, leggesi una Cicalata fiorentinesca di Luigi Giusto veneziano, e stanno Poesie nella lingua grammaticale di Gasparo, di Francesco, di Carlo Gozzi e di Luisa Bergalli Gozzi, oltre ad altre non poche di scrittori delle Provincia Venete. Nel Dialetto de' Veneziani è osservabile che due soli Sonetti vi si leggono scritti da un Canonico di Milano don Giuseppe Candido Agudio, il quale in un Capitolo della stessa Raccolta annuncia che:
In versi veneziani la mia parte
Ho già fatta per quel caro animale,
Cui per gran pregio di natura e d'arte
Non fu, non è, non sarà mai l'eguale ec.
Uno di questi Sonetti merita d'essere qui riportato, e tanto più volentieri quanto che per colpa dello stampatore milanese era in bisogno di qualche tenue emendazione.
Chi no pianze sto gramo Gatesin
Ch'el giera sì spassoso e amoroseto,
Del nostro Balestrier zogia e dileto,
4Bisogna ch'el sia un can, ladro, sassin.
Seben morto anca mo su quel tolin
El par ch'el diga: Caro Menegheto
Làssete dar un baso, o bocoleto,
8E far una carezza col zampin.
Varda, Morte crudel, cossa ti ha fato!
No ghe giera altri da schizzarghe el naso
11Se no sto galantomo de sto Gato?
Ma stassela qua tuta; gh'è de pì.
El so Paron, pensando al fatal caso,
14Xe deventà pì mato assae de mi.
Pochi anni dopo che si è pubblicata la suddetta Raccolta di Lagrime in morte d'un Gatto, venne quella di Lagrime in morte d'un Cane vicentino, impressa in Venezia, Poletti, 1749, in 4., in cui sta un Componimento in lingua rustica vịcentina di Giambatista Canati.
3. Bertoldo, Bertoldino e Cacasseno tradotti in lengua veneziana. In Padoa, Zambatista Conzati, 1747. In 8.vo con figure.
Nel frontispizio è il nome del traduttore indicato dalle sole iniziali I. P.; e fu Isepo (Giuseppe) Pichi avvocato veneziano, che, nominato Vicario Pretorio in Padova, vi stabilì il suo domicilio, ed ivi finì di vivere di anni 75 nel 1755. Nelle Novelle Letter. di Venezia (an. 1755, c. 256) si soggiugne, che il Pichi scrisse pure una Commedia ed altri Componimenti parte manoscritți e parte stampati in varie Raccolte, e che lasciò morendo, tra i molti suoi scritti a penna, una Traduzione delli Sei Primi Canti dell'Eneide in lingua veneziana. È da lamentare che questi Canti siensi smarriti, poichè possedeva l'Autore ricca fertilità di pensieri, abbondanza di sali e facilità di metafore, come ne fa prova questo suo travestimento del Bertoldo. Vediamone un'ottava nel testo toscano e nel veneziano (Canto 1. St. xvi), in una parlata fatta al Re da Bertoldo:
Tanto il primo formò quanto il sezzaio
Messer Domeneddio di carne e d'osso;
Ciascun mangia, bee,dorme, e veste saio
Altri bigio, altri verde, ed altri rosso;
Il Sol mira ciascun, ciascun suo guaio
Prova, e gli anni a ciascun gravano il dosso;
E Morte per Cuman capo l'acerba
Ronca raggira, e fascio fa d'ogni erba.
Quel che ha creà sta machina dal niente
Su l'istesso model n'ha fato tuti;
Magna, beve, ronchiza ogni vivente,
G'ha la istessa materia e beli e bruti;
Xe benefizio a ognun el Sol lucente,
E ognun porta i so' ani su i persuti.
La morte al fin, ch'è l'ultimo dei mali,
Manda tuti a far tera du bocali.
4. (Barbaro, Antonio), Versi in dialogo bilingue sopra la Fabbrica della Nuova Chiesa della Pietà aperta nel 1760. Venezia, Bortoli, 1760. In 8.vo.
Il Dialogo è tra un Forestiere che parla la lingua corretta, ed un Veneziano che gli risponde nel suo Dialetto. Non ha nome di Autore, ma stando aggiunto a penna quello di Antonio Barbaro patrizio veneto nell'esemplare che tengo sott'occhio, è da supporsi che ad esso appartenga. La poesia è miserabile, ma l'opuscolo ci serba utili notizie intorno a' nomi degli Artisti impiegati alla costruzione e al decoro del tempio della Pietà.
5. Goldoni, Carlo, Opere. Venezia, Giambatista Pasquali, 1761, Vol. 17. In 8.vo con figure.
Quantunque non compiuta, merita nulladimeno particolare stima questa edizione, fatta sotto gli occhi dell'Autore, il quale corredo le Commedie scritte nel Dialetto veneziano della spiegazione di quelle voci che ad un forestiere possono riuscire poco intelligibili. L'Autore medesimo potè in progresso di tempo suggerire da Parigi al librajo Zatta di Venezia quella nuova distribuzione, e quel numero di Componimenti che diedero forma alla ristampa più compiuta dallo stesso Zatta eseguita in Venezia, 1788-1795, in vol. 44 in 8. ornata di figure. A questa edizione, che riuscì la ventesima, altre non poche ne susseguitarono ora fatte con economia, ora con eleganza, ora anche con lusso sì in Venezia che altrove; ma niente di meglio esse offrono, nè quanto al contenuto nè quanto al testo, delle due edizioni surriferite.
Alle Commedie in Dialetto veneziano scritte dal Goldoni deesi quella più universale intelligenza in cui esso Dialetto è venuto presso tutti gli altri Italiani. Dipignendo l'Antore in tal linguaggio carezzevole con ogni naturalezza le scene più vere, seppe produrre tale illusione drammatica che ti sembra d'essere presente a que' suoi dialoghi famigliari, a quelle sue casalinghe peripezìe. Alterati oggidì i nostri costumi da quello che erano pressochè un secolo fa, se valenti Attori rimettano in iscena una sua Commedia veneziana, noi non sappiamo tuttavia partir del teatro senza il più vivo sentimento di riverenza al nome di Carlo Goldoni. Nelle due Commedie La buona Moglie ed I Rusteghi stanno principalmente le veneri del veneziano Dialetto. Alcune poi tra esse furono dall'Autore medesimo trasportate dal veneziano nel grammaticale italiano, e per es. Chi la fa l'aspeta, e Le Morbinose sono quelle stesse che si leggono, la prima col titolo di Burla retrocessa nel contraccambio, e l'altra col titolo di Donne di buon umore.
Altri Componimenti poetici scrisse il Goldoni nel patrio Dialetto, una scelta de' quali s'è ristampata nella Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano; ma niuno di questi può valere ad accrescere dell'Autore la fama.
6. Baffo, Giorgio, Poesie in dialetto veneziano. Cosmopoli, 1789, Vol. 4. In 8.vo.
Edizione postuma, la quale racchiude Canzoni, Sonetti, Madrigali che non la cedono in laidezze a' componimenti di un Aretino, di un Giordano Bruno, di un Pallavicini, di un Casti. In una Collezione di Opere MSS. che in Vinegia si conserva, e che pare destinata dal suo Testatore a lunga o perenne vita, si legge altra copiosa suppellettile inedita di poesie dello stesso autore, ma tutte dello stesso calibro. Non v'ha scritto di Giorgio Baffo che non sia licenzioso, e l'autore valse a dare il suo nome ad ogni altra composizione che si trovi ravvolta nel fango delle turpitudini. Vuolsi che questo gentiluomo veneziano fosse decentissimo nella sua vita civile, e tanto circospetto ne' suoi familiari discorsi da non consentire a sè medesimo nemmeno quelle libertà che scappano talvolta fuori agli uomini nelle società più morigerati. Se così è, valga la sentenza di Ginguené (Biograph. Universelle), ch'egli parlasse come una pudica donzella, ma scrivesse poi come un Satiro.
La nominanza di Poeta osceno rimasta al Baffo va del pari con quella di Poeta satirico in cui è venuto il Cav. Dotti suo contemporaneo, le cui Satire non vengono da me registrate in articolo separato, scritte essendo in impura lingua italiana, ma che si scosta dal vernacolo veneziano. Furono impresse col titolo: Satire del Cavalier Dotti; in Ginevra, presso i fratelli Cramer, 1757, Parti 2 in 12, con alcune Noterelle a dilucidazione degl'idiotismi, e di altro. „Queste Satire, che correvano per le mani di molti manoscritte, e che s'erano, anni sono, principiate a stampare in Olanda, e poi sospese, si veggono ora (1758) comparire con la data di Ginevra, ma senza che i torchj di Ginevra abbiano sudato per esse”. (Memor. Stor. Lett.; Venezia, Valvasense, 1758, Tom. XII, c. 414.
7. Tati Remita (cioè Tita Merati), Saggi metrici. In Venezia, per il Deregni, 1763-65. In 8.vo.
Trascrivo quanto ho altre volte detto, inserendo alcuni di questi Saggi metrici nel Vol. xii della Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano: „L'anagramma di Tati Remita è Tita Merati, e l'autore di questi Sonetti era don Giambatista Merati veneziano, che fiorì poco dopo la metà del secolo scorso, e che visse riputatissimo Abate della Religione de' Monaci Benedettini di S. Giorgio”.
Questi Saggi consistono in una Raccolta di Sonetti in Dialetto nostro di morale argomento, diretti a regolare i sociali costumi. Mancano di quella vivezza che suol rendere gradite siffatte composizioni, e sono oggidì venuti quasi in dimenticanza. Vorrei che fosse fatta grazia al seguente Sonetto, in cui si dipigne al vivo Il vero Barcajuolo veneziano:
Intender l'acqua, viver a zornada,
Voga destesa senza spessegar,
In tel streto del rio no se ligar,
Per no far gropo dar la so' siada;
Coi omeni d'onor far camerada;
Ai tressi curte; tuti saludar;
Star su la defensiva, e no bravar
Senza rason per no far mai bulada.
Tratar ben la mugier; dei fioi grandoti
No far che la dotrina sia el batèlo;
Esser segreto, e no far zo merloti;
Che no deventa el magazen tinèlo,
Nè casse el gheto, nè sansughe i loti;
Questo xe'l vero Barcariol. Cerchèlo!
8. Pannà, Costantino, Dell'artifizio della disputa veneziana, Libri tre. Venezia, Pasquali, 1765. In 8.vo.
In questo Trattatello s'offre l'esemplare di quattro Dispute veneziane ad accusa e a difesa in un argomento medesimo. Le quattro Dispute non ismentiscono punto la confessione dell' Autore, il quale nella dedicazione del suo libro al Kav. Procur. Francesco II. Morosini annunzia, che tutt'al più meritano d'essere compatite come primi frutti della sua educazione al foro. Eloquenti Aringhe sono bensì le seguenti: Aringhe di Leopoldo Curti, uno de' due Patrizj Avvocati de' poveri carcerati ec. Venezia, Occhi, 1755, in 4., alle quali però non va assegnato Articolo in questa Serie, perchè l'Autore volle colla stampa trasportarle nell'italiano comune piuttosto che lasciarle nel Dialetto in cui furono pronunziate. Sono tre Orazioni che valsero a salvare dalla forca un Francesco Obrelli veneziano, reo di diciassette furti.
9. Foscarini, Marco, Due Aringhi pronunziati nel Maggior Consiglio negli anni 1747 e 1762, e pubblicati in Venezia colle stampe soltanto negli anni 1827 e 1831.
Il primo di questi Aringhi fu detto quando erasi proposto di mandare in Dalmazia Inquisitori estraordinarj a regolamento di quella Provincia. Si pubblicò per nuziale occasione in Venezia, Picotti, 1831, in 4. È disputa tenuta sì importante che il dottissimo Natale dalle Laste volle farne una elegante versione in latino, la quale giace presso di me inedita.
Il secondo Aringo, più eloquente del primo, fu tenuto dal Foscarini ne' tumultuosi momenti ne' quali trattavasi di sopprimere il Tribunale degl'Inquisitori di Stato, ricordati oggidì col nome di Correzione degli anni 1761 e 1762. Questo Aringo si pubblicò per cura di Giambatista Gaspari, che vi premise un sunto della Storia che lo promosse, e trovasi nel Libro seguente: La Tragedia di Giambatista Niccolini intitolata Antonio Foscarini presa in esame ec. Venezia, Tip. d’Alvisopoli, 1827, in 8.
Marco Foscarini salì in grande fama come Oratore estemporaneo. Quantunque a' suoi giorni avessero il veneziano patriziato un Grimani, un Riva, un Zorzi, un Marcello, un Zen, un Foscari, e fossero le Cause civili difese da un Cordellina, da un Vecchia, da uno Svario, uomini nell'arte della parola peritissimi; nulla di meno adopreremo una espressione del Bettinelli, il quale in confronto di essi scrive, che Marco Foscarini parea la eloquenza medesima. Non è qui luogo di ricordare le altre sue Opere scritte nella lingua illustre italiana.
10. Barbaro, Marco, Tre Azioni Criminali a difesa. Venezia, Giacomo Storti, 1786. In 8.vo.
L'Autore, nascostosi sotto le iniziali M.B., dedica questo suo lavoro a S. E. Angelo Querini. Comprende tre Dispute in veneziano Dialetto pronunziate a difesa di tre rei; dispute che altro valente oratore, Lucio Antonio Balbi (V. suo Articolo) giudicò le prime postesi a stampa nel nazionale linguaggio che veramente meritar potessero corona. Vista anteposto un lungo Discorso intorno alla Criminale veneta giurisprudenza, il quale termina come segue: „La conosciuta energia, la dolcezza e la forza della veneziana favella mi dispenseranno dal giustificarmi, se porgo al Pubblico le seguenti tre Azioni quali furono fatte. Si celebra la veneta eloquenza, e le stampe non ce ne porgono una sola linea. Si vegga dunque fra i tanti nostri illustri Oratori darne ardito l'esempio chi, non confrontabile ad essi, applicatosi all'arte del dire per pochi anni e di passaggio, appese per sempre con solenne voto l'armi al tempio della tranquillità e del riposo”. Il Barbaro, quando così scrisse, era da Avvocato Criminale passato a Giudice nelle Quarantie.
— Istoria delle Questioni promosse da un eccitamento del N. U. Carlo Contarini, con le Arringhe tutte fatte nel Maggior Consiglio l'anno 1780. Venezia, Sola, Anno Primo della Libertà Ital. (1797) Vol. 3. In 12.mo.
Quantunque di non vecchia data, tuttavia molto rara è la presente edizione, ed è Opera molto importante, avendovi il Barbaro raccolte e fatte imprimere le Dispute tenute nel Maggior Consiglio di Venezia per altra proposta Correzione del regime repubblicano nel 1780. Vi si leggono in veneziano Dialetto sette Dispute tenute da Carlo Contarini; cinque di Zuane Bragadin; sette di Zorzi Pisani; cinque di Ferigo Foscari; due di Alvise Emo; due di Antonio Foscarini; una di Piero Barbarigo; due di Zaccaria Valaresso; due di Nicolò. 2.do detto sier Costantin Morosini; ed una del Doge Polo Renier.
11. Labia, Angelo Maria, Poesie satiriche. Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1817, in 16. Formano il Volume decimo della Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano.
In essa Collezione si pubblicarono per mia cura la prima volta queste Poesie satiriche, le quali era peccato che giacessero inedite, dandoci esse un vero ritratto della calda fantasia, della prontezza d'ingegno, e del cuore repubblicano del loro Autore, che nacque in Venezia l'anno 1769, appertenne all'ordine patrizio, e mancò di vita nel 1775. La sua Aringa al Senato sul Decreto dell'abolizione de' Frati dell'anno 1767, scritta in terza rima, è veramente curiosa, contraffacendosi in essa il modo usato nel disputare dagli Avvocati veneziani. Comincia:
Prima d'entrar ne la materia, son
In una indispensabile e precisa
Necessità de domandar perdon,
Se portando anca mi quela difesa
Scolpida in fronte, e impressa nel mio peto,
Che da sta stola no ha da andar devisa,
Ardisso comparir ancuò al cospeto
De questo ecolentissimo Senato
Per tratar d'un gravissimo sogeto,
Che vol su i mii principii e sul mio dato
Ch'abia a Vostre Zelente a domandar
Cossa le întende per Rason de Stato.
Mi no son qua a far pompa, nè a vantar
L'erudizion de quei che ha lassà scriti
I moltissimi modi de pensar
Sul gran ponto del Publici Diriti,
E che i Prencipi ancuò tuti ha impegna
A publicar tanti diversi Editi. ec. ec.
12. Chiari, Pietro, Commedie. Venezia, Bettinelli, 1756-1762 vol. 10 in 8.vo; e Nuova Raccolta di Commedie. Venezia, Pasinelli, 1764, vol. 2. In 8.vo.
Di quest'Autore bresciano, fertile comico e romanziere, che lungo tempo visse in Venezia, sono le Commedie per lo più scritte in versi martelliani. Non occorre qui osservare se quantunque talvolta bene immaginate e con arte condotte, siano tuttavia oggidì pressochè cadute in giusta dimenticanza, siccome spoglie di vivacità, di forza, di estro comico; ma è sempre opportuno il farne ricordo perchè non poche sono quelle in cui qualche personaggio che parla il Dialetto veneziano non si vegga introdotto. Le Commedie La Donna di spirito — L'Uomo di buona natura — La Serva senza patron — Gli Amanti in collera — La Famiglia stravagante — Le Vicende della Fortuna sono tutte formate di caratteri veneziani, ed il maggior numero de' personaggi vi parla il nostro dialetto. Lo parlano tutti, niuno eccettuato, nella Commedia intitolata El Marìo cortesan.
13. Gozzi, Carlo, Fiabe teatrali e Commedie.
Una Raccolta delle Opere di Carlo Gozzi si pubblicò in Venezia, Colanibani, 1772-14, Vol. 8 in 8.vo, a quali altri due volumi di Opere teatrali si aggiunsero, cioè il 9.no impresso in Venezia, Foglierini, 1787, in 8.vo, ed il 10.mo in Venezia, Curti, 1792, in 8.vo. Col titolo poi di Opere edite ed inedite del Co. Carlo Gozzi se ne intraprese una ristampa, pure in Venezia, Giacomo Zanardi, 1801-02, Vol. 24 in 8.vo, la quale ristampa, inchiude qualche teatrale componimento che manca nella prima edizione, ma non così le altre Opere in verso e in prosa del Gozzi, delle quali v'è soltanto promessa la continuazione in un Avviso dello Stampatore posto al fine dell'ultimo volume xiv.
Nella maggior parte delle Fiabe scritte da Carlo Gozzi si trovano introdotti personaggi che parlano il Dialetto veneziano, e sono questi per lo più Pantalone e Brighella. Parla Pantalone soltanto nel Corvo, nella Donna Serpente, nella Zobeide, nell'Augellin belverde, nel Zelim re dei Genj, nella Punizione nel precipizio, nel Pubblico secreto, nelle Due notti affannose. Parlano Pantalone e Brighella nel Re Cervo, nel Turandot, ne' Pitocchi fortunati, nel Mostro turchino, ne' Due fratelli nemici, nel Moro dal corpo bianco, e nella Donna innamorata da vero. Parla il veneziano il solo vecchio Alessandro nella tragicommedia Il Cavaliere amico; ed è introdotto Giannetto veneziano ne' drammi La Donna contraria al consiglio e la Malìa della voce. I Dialoghi tenuti nel materno vernacolo da' suddetti personaggi m'impegnarono a registrare anche le Fiabe del Gozzi.
14. Barbaro, Angelo Maria, Poesie. Nel Tomo XI della Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano. Venezia, Tipogr. di Alvisopoli, 1817. In 16.mo.
Questo Barbaro, che fu fratello di Cornelia Barbaro Gritti, e zio di Francesco Gritti, sortì da natura umore bisbetico e stizzoso, e molte poesie lasciò che si conservano inedite nelle raccolte del patrizio Teodoro Correr. È famoso il suo dramma: Anna Erizzo in Costantinopoli ossia Makmet in Negroponte, scritto nel Dialetto veneziano con festività, ma da non pubblicarsi, intriso essendo di frizzi satirici e di motti indecenti. Il Barbaro morì in patria l'anno 1779 d'anni 53. Nella suddetta edizione furono per la prima volta pubblicati alquanti Componimenti, fra' quali primeggia la celebre novella la Matrona d'Efeso, già scritta da Petronio Arbitro, e modernamente narrataci da Eustachio, Manfredi e da altri.
15. Zorzi, Marc'Antonio, Poesie. Stanno nel Volume XI della Collezione dei Poeti in Dialetto veneziano. Venezia, Tip. di Alvisopoli, 1817. In 16.mo.
Nacque in Venezia l'anno 1703 nell'ordine patrizio; ebbe fama di valente Oratore, indi di Giudice incontaminato ne’ Consigli de' Quaranta: Lasciò varj scritti che rimasero inediti, e ne' quali egli rischiarare volea quelle idee del giusto ch'erano per le venete costituzioni il Codice de' Magistrati. Appassionato, com'era, pel materno Dialetto, trasportò in questo alquante Orazioni di Cicerone che tuttavia restano inedite, e vaghe Poesie dettò per rallegrare le società nelle quali egli era sempre desiderato. Quelle poche che a me riuscì di raccogliere, e che consistono in Epigrammi ed in un'assai leggiadra Canzonetta, stanno inserite nel Volume sopraccitato, e sono per gentilezza di pensiero e per facilità di sposizione tra le più gaje che legger si possano. Visse il Zorzi assai lungamente, e passò a' più nel 1787.
16. Le Muse Veneziane per el Noviziado del Nobil Homo Alvise Pisani con la Nobil Dona Giustiniana Pisani. Senza data. In 4.to.
Non mi sono proposto di tener conto delle Poesie veneziane che si trovano inserite in un numero strabocchevole di Raccolte per Nozze, per Monacazioni ec.ec.; ma registro la presente poichè nel Dialetto veneto sono scritti tutti que' componimenti ch'essa racchiude, ed è proceduta da una dedicazione dell'Anonimo raccoglitore, ch'è pure in prosa vernacola. Gli Autori che v'hanno Canzoni, Sonetti ed altro, sono l'Ab. Francesco Pasinetti, l'Ab. Salvador Moreti, l'Ab. Pietro Belli; e v'ha al fine uno spiritoso Canto de un Calegher malgoverno di Autore incerto.
Verso questo tempo in una Raccolta di Componimenti poetici pubblicati in occasione della Regata data il dì 3 Giugno 1767 per festeggiare l'arrivo in Venezia d'un duca di Wirtemberg stanno eziandio molte Canzoni, Ottave ec. in Dialetto veneziano composte da un Frassoni, da un Ulroso Trifante poeta urgente ec.
17. Il Ratto della bella Zuechina, Commedia di un Atto solo. Ven., Geremia, 1767. In 12.mo.
L'Autore della Commedia sta nel frontispizio indicato colle sole iniziali. A. L. C. B. È scritta co' modi popolari del vernacolo veneziano, ed in prosa. Condotta con buon intreccio, n'è morale lo scioglimento.
18. Dolfin, Giovanni, La Marenda alla Zueca, Farsa giocosa per musica. Venezia, Fenzo, 1770. In 12.mo.
In questa spiritosa Farsa si coloriscono bene gli stravizzi e le merende della plebe veneziana. Quantunque composta per musica nondimeno è tutta dettata in prosa, eccettuate le Arie soltanto.
Altre Commedie e altri Drammi in Dialetto veneziano scritti durante il secolo XVIII. potrà scovar fuori chi vorrà fare più attente indagini di quelle da me praticate. Sì il Ratto della Zuechina, che la Marenda alla Zueca sono componimenti che potrebbero far onore all'illustre Goldoni.
19. Composizion in otava rima a la Veneziana, ne la qual se descrive quanto ghe xe de notabile tanto ne la Fazzada, quanto nel Portego de la Chiesa de San Marco. In Venezia, senza nome di Stampatore, 1779. In 12.mo.
Sono 35 Ottave, oltre alle quali seguono: Descrizione in ottava rima del Tesoro della Chiesa Ducal di S. Marco. Ivi, 1778, in 12.mo. Sono 37 Ottave — e Descrizione della Fondazion di Venezia. Ivi, 1779, in 12.mo. Sono 57 Ottave.
La Descrizione del Tesoro della Chiesa Ducal di S. Marco così comincia:
Za che stupisce el mondo a quel che ho dito
De la Chiesa Ducal in bassa rima;
Quando de la Fazzada g'ho descrito
È del Portego al pian fin a la cima,
Me parerave adesso un gran debito
A taser quel che xe de mazor stima;
Per questo l'atenzion vostra mi imploro
A sentir de San Marco el gran Tesoro.
20. Lezioni scolastiche di Geografia esposte in versi per Dialogo, e nel veneto idioma. Seconda edizione. Ven., Marcuzzi, 1784. In 8.vo.
Non istà nominato l'Autore nella dedicazione di questo libricciuolo alla dama veneziana Chiara Cornaro Valmarana. Oltre alle Lezioni di Geografia per fanciulli, altre Lezioni di buone creanze, e qualche lepida composizione in versi vi stanno inserite per allettamento de' giovanetti.
21. Pozzobon, Giovanni, detto Schieson, Opere. Trevigi, Antonio Pozzobon (1787). Vol. 5. In 8.vo.
Più alla natura che alla instituzione di alcuna scuola dobbiamo questo vernacolo poeta, che nacque in Trevigi l'anno 1713, ed ivi morì nel 1785. Nella presente Raccolta si sono pubblicate quelle Poesie che trovąvansi disperse in istampe separate; e nel volume quinto stanno eziandio alcune Poesie di autori diversi allo Schiesơn indirizzate. Il suo notissimo Almanacco Schieson Trevisan, ch'ebbe principio l'anno 1744, ottenne tanto spaccio ch'egli ordinariamente ne imprimeva quarantamila esemplari, e quando poi lo fece divulgare dalla Stamperia Remondini di Bassano arrivavano gli esemplari impressi sin ad ottantamila. Veggo oggidì annunziata al pubblico una nuova ristampa de' versi del Pozzobon, in cui si promettono aggiunte di Poesie inedite.
Dopo la morte ebbe il Pozzobon alcuni continuatori in Trevigi e in Venezia. Il primo tipo dello Schieson Trevisan appartiene al secolo XVII, del che veggasi l'Articolo Gran Pescadore di Dorso Duro; e pe' suoi continuatori veggansi gli Articoli Bada Giambatista, Lamberti Antonio; Zanchi Alessandro ec. ricordati all'Art. Zanchi Secolo XIX.
23. Mazzolà, Giacomo, I Cavei de Nina, Soneti cento. Padova, 1785. In 8.vo.
Si ristamparono, e con più diligente correzione, nel Volume Quarto della Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano Ven. Tip. d'Alvisopoli, 1817, in 16.mo.
L'Autore padovano, medico di professione, e che compiè suoi giorni in patria l'anno 1804, nullamanco di cinquecento Sonetti aveva composti per lodare le trecce della sua Nina. E questo è fare ben più di un Giusto de' Conti che tanti ne scrisse per la Bella mano della sua innamorata. L'Ab. Pier Antonio Meneghelli, cui dobbiamo la scelta e la pubblicazione de' soli cento surriferiti, prega nella sua Prefazione il lettore ad andar soddisfatto de' soli cento, perchè, scrive, ho dovesto far forza a cavar da le man de l'autore anca sti pochi. E dobbiamo essergli grati delle sue cure, mentre possono considerarsi fra le più gentili e le più elette poesie ch'abbia il nostro Dialetto.
23. Pastò, Lodovico, El Vin Friularo de Bagnoli. Terza Edizione. Padova, 1801. In 8.vo.
Lodovico Pastò nacque in Venezia nel 1746. Esercitò la Medicina per quattro Anni nello Spedale di S. Spirito in Roma, indi in Padova, e da ultimo a Bagnoli di Conselve nel Padovano, dove finì di vivere nell'anno 1806.
Questo suo celebre Ditirambo, ch'è uno de' Componimenti ne' quali più brilano le ricchezze del Dialetto veneziano, è nella presente edizione accompagnato dal Bacco in Toscana del Redi. V'ha inoltre Il Bacco in mare, lodevole opera di Giuseppe Menegazzi, che si era prima stampata in Padova, Conzatti, 1788; ed havvi El Vin Corbinon, Strambezzo ditirambico umilià a So Zelenza Mariana Querini nata Contessa Zappaja, da Olipare Pienitapo, che si era prima impresso nel 1789 (Moschini; Lett. Venez. T. II, c. 154)
— Poesie edite ed inedite. Padoa, 1806. In 8.vo.
In questa Raccolta stanno la Quarta Ezionne del Vin Friularo; la terza edizione dello scherzo ditirambico La Polenta; la seconda edizione delle Smanie de Nineta per la morte de Lesbin; ed inoltre Versi ditirambici, Soneti, Canzonete, Madrigali, Letere e Novele, raccolte per la prima volta. Se ne eseguì una ristampa in Venezia, 1817, in 8.vo, e di alcuni Componimenti si fece scelta per la Collezione de' Poeti in Dialetto veneziano. Ven. 1817, vol. 14 in 16.mo. Posteriormente si pubblicò eziandio la Vera felicità, Novella postuma in versi; Padova, al Seminario, 1819, in 8.vo.
24. Boaretti, Francesco, Omero in Lombardia, Iliade. Venezia, Domenico Fracasso, 1788, vol. 2. In 8.vo.
Il Boaretti a questa sua capricciosa versione ha fatto precedere una Lettera in cui parla delle Cognizioni necessarie per la intelligenza di Omero e per leggere con profitto la presente versione; e quanto al vernacolo prescelto, veggiamo che cosa ne dica egli stesso (p. lx):
„Mi piacque di scrivere in questo stile vernacolo, in cui già da numero notabilissimo di persone fu letta la metà della Iliade, e letta avidamente. Sembra perciò, che debba ora molto più accadere lo stesso all'Opera tutta corretta ed unita, e di cui il meglio restava ancora da pubblicarsi. Ad imitazione di Omero non mi attenni ad un dialetto determinato e solo; ma questo misto di dialetti, in cui scrivo, è di tal carattere che non solo venne inteso pienamente e piacque nella veneta dominante e nelle adiacenti città, ma in molte altre d'Italia, ove avrei creduto dovesse riuscire oscuro e nojoso. E feci io così, per avere energia d'espressioni, varietà di termini e di rime, onde spesso non incorrere nelle stesse desinenze; adottando anche tutti que' vocaboli che vengono usati comunemente ne' discorsi familiari dalle nobili e colte persone che in que' dialetți medesimi parlano tra di loro delle materie più rilevanti di letteratura, di politica, e d'altre simili. Qualunque però siasi questo mio vernacolo, ognuno vedrà coll'esempio dinanzi agli occhi, che non è maniera di verso italiano in Tasso ed Ariosto, di cui non sia affatto suscettibile questo linguaggio nella mia versificazione; non v'è forma a cui non s'adatti, non v'è tratto poetico o forte a cui non corrisponda, ed ha poi un carattere di prima natura che in una versione di Omero non è al certo indifferente”.
25. Baldi, Lucio Antonio, Arringo in causa di deflorazione. Trieste, 1795. In 8.vo.
Nella lettura di questo Arringo scorgesi congiunta ad una facile e spontanea eloquenza, la più decente sposizione in argomento sì sdrucciolevole, e quella robustezza di ragionare senza di cui niente vale un tal genere di componimenti. Di Lucio Antonio di Melchiorre Balbi, che nacque in Venezia nel 1766, s'hanno a stampa altri Componimenti, ma non iscritti in Dialetto, ricordati nel Tom. III delle Iscrizioni Veneziane raccolte da Emmanuele Cicogna.
26. Piazza, Marc'Antonio Trevigiano, Ottave per l'ingresso di un Arciprete a Castelfranco. Treviso, Paluello, 1799. In 8.vo.
Sono 55 Ottave spiritose, il cui titolo è: Ottave vernacole per l'Ingresso all'Arcipretale Chiesa di S. Maria, Pieve di Castel Franco del Rev. don ec. Il Poemetto così ha principio:
Nò me far, Musa, el viso desavìo,
Làsseghe le smorfie a sti Castrai
Che a cantar tira sempre el culo indrio
Per esser, sti bufoni, sfregolai.
Ancuò s'ha da cantar. M'àstu capio?
No me far scene, no me trovar guai,
Za ti lo sa per tante prove e tante
Che mi son più sincero che obligante.